Ferragosto, pronto soccorso mio non ti conosco

Ferragosto, pronto soccorso mio non ti conosco
di Pietro Piovani
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Giovedì 18 Agosto 2016, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 21:01
Passare il ferragosto
in un pronto soccorso...
anche questa e' vita
@rosannadimarzio




La notte tra il 14 e il 15 agosto al pronto soccorso del Policlinico Umberto I i medici hanno lavorato pochissimo. «Però se ripassa il 16 troverà un bel po’ di gente» spiegava un giovane dottore talmente poco impegnato che per ingannare il tempo addirittura, in via del tutto eccezionale, rivolgeva la parola ai pazienti, quei pochi che c’erano. Tutti gli anni a Ferragosto i malati scarseggiano, e non solo perché la città con le ferie estive si svuota. Succede la stessa cosa ogni domenica e in ogni giorno di festa, sia d’estate che d’inverno. E succede anche quando gioca la Nazionale ai Mondiali.

Il motivo è il solito: chi si presenta al pronto soccorso nella maggior parte dei casi non lo fa per una vera urgenza, ma per ottenere rapidamente una visita, un esame, una terapia, senza passare per la sala d’aspetto del medico di famiglia né per la lista d’attesa di un ambulatorio. Chi per farsi curare non rinuncia alla partita o alla gita al mare evidentemente non sta davvero male, o almeno non abbastanza da meritare una procedura super-accelerata. Super si fa per dire: i tempi dei pronto soccorso romani sono quelli che sono, anche perché bisogna mettersi in fila fra tanti altri malati non urgenti.

Va detto che nella notte dello scorso Ferragosto i locali dei pronto soccorso non sono rimasti vuoti, anzi: sono serviti a ospitare i senza tetto e i disperati che non sanno dove andare a dormire, ma questo in realtà succede tutte le notti dell’anno. Decine di persone si accasciano sulle sedie delle sale d’aspetto, qualcuno prova a dichiarare una sua patologia per ottenere una barella dove sdraiarsi. Per loro è sempre meglio che stare su un marciapiede, ma certo non è una bella sistemazione. Figuriamoci quanto può esserlo per i malati, quelli urgenti, quelli veri.


P. S. Qualche medico, dopo aver letto questo articolo, ci ha scritto per contestare la frase: “un giovane dottore talmente poco impegnato che per ingannare il tempo addirittura, in via del tutto eccezionale, rivolgeva la parola ai pazienti”. Frase che ovviamente voleva essere ironica, ma che in effetti è giusto precisare con una spiegazione supplementare.
I medici delle strutture sanitarie pubbliche fanno un lavoro difficile, e in genere lo fanno piuttosto bene. Parlare con i pazienti fa parte del loro lavoro, e nessuno mette in dubbio che i medici assolvano anche a questo dovere, almeno per quello che è indispensabile. Purtroppo le condizioni degli ospedali romani è tale che, molto spesso, chi ci lavora è quasi costretto a sfuggire i pazienti e le loro richieste, non avendo il tempo, i mezzi e gli strumenti per dedicarsi ai malati con tutta la cura e l'attenzione che meriterebbero. Per un medico è una forma forse inevitabile di autodifesa, il che non toglie che per una persona che sta male la sensazione di non essere ascoltato, di non avere qualcuno a cui rivolgersi, sia molto frustrante.
A tutto questo alludeva la frase in questione, senza alcuna intenzione offensiva nei confronti dei medici, tanto meno di quelli del Policlinico che nella notte di Ferragosto si sono dimostrati molto gentili ed efficienti.
(Pie. P.)

pietro.piovani@ilmessaggero.it
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