Dopo il pollo fritto, anche il caffè è made in Usa

Dopo il pollo fritto, anche il caffè è made in Usa
di Mauro Evangelisti
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Sabato 18 Febbraio 2017, 00:03
A Roma gli studenti dell’università americana è la prima cosa che chiedono quando arrivano «Dov’è Starbucks?»
Morfina

Starbucks, a Roma: ma dove? Se a Milano il dibattito si è concentrato a piazza Duomo, dove la multinazionale dei frappucini ha finanziato l’area con le palme, nella Capitale sui social rimbalza la domanda: dove apriranno? Ma soprattutto: i romani resteranno fedeli all’espresso del bar sotto casa o si metteranno in fila alla cassa made in Usa, per poi spostarsi al bancone dove, se funzionerà come negli altri paesi, non proprio in tempi record verranno serviti i caffè? Sui social, da quando si è diffusa la conferma che entro il 2018 - vale a dire il prossimo anno - il primo Starbucks dopo l’esordio milanese, aprirà anche a Roma, il dibattito è animato. Varie le fazioni: i tradizionalisti rispondono vade retro e pronosticano che Starbucks sarà respinto con perdite dai romani (si disse lo stesso di Mc Donald’s e si è visto come è finito); i realisti prevedono che se le caffetterie di Seattle ma riconoscibili e più o meno uguali da Dubai a Osaka punteranno sui luoghi romani con intensi flussi turistici, avranno grande successo, perché il viaggiatore alla fine si affida a insegne, arredamenti, meccanismi e prodotti uguali ovunque; i filo-frappucino, infine, non vedono l’ora di potersi mettere in fila e trascorrere i pomeriggi seduti al tavolino, leggendo un libro, giocando con il tablet o studiando, come hanno visto fare a Singapore o Londra. Resta una certezza: se a Roma abbiamo fatto la fila per il primo Kfc (pollo fritto), forse quella di Starbucks non sarà missione impossibile.

mauro.evangelisti@ilmessaggero.it
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