Una tradizione romana: gli scassinatori da burletta

Una tradizione romana: gli scassinatori da burletta
di Pietro Piovani
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Lunedì 15 Agosto 2022, 00:05

La storia del presunto ladro che a via Gregorio VII voleva raggiungere una banca scavando un tunnel sotterraneo ed è rimasto prigioniero del suo stesso buco è l’ultimo esempio di una tradizione, si potrebbe dire una scuola romana di delinquenti da macchietta, categoria che può vantare anche nobilissimi ascendenti cinematografici: inevitabile la citazione dei Soliti ignoti.

 

Tra mille esempi, limitandoci alle cronache più recenti possiamo ricordare il topo d’appartamento che dopo il furto in un palazzo a Vigne Nuove è fuggito calandosi con una corda, ma avendo calcolato male la lunghezza della fune è precipitato nel vuoto, finendo prima all’ospedale e poi in carcere; o i due scassinatori che a febbraio hanno rubato la cassa della pasticceria Panella, ma poi si sono fatti prendere dalla gola e si sono trattenuti più del dovuto per abbuffarsi di torte e cornetti, dando tempo ai carabinieri per arrivare in via Merulana e arrestarli; oppure, andando un po’ più indietro nel tempo, si può menzionare quel ladro romano in trasferta a Talamone che ha svaligiato una villa ed è fuggito, ma ha lasciato nell’abitazione le chiavi della sua auto, consentendo così agli investigatori di individuarlo e incriminarlo.

Come diceva il ladro fallito Mastroianni ai suoi complici entrati nell’appartamento sbagliato: «Rubare è un mestiere impegnativo, ci vuole gente seria. Voi al massimo potete andare a lavorare».

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