A Termini staziona l’incuria, non la storia

di Mario Ajello
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Domenica 25 Marzo 2018, 00:05
“ServioTullio prende il treno:  memoria e valore dell’archeologia alla stazione Termini”.
@MartaCoccoluto

Servio Tullio prende il treno, fu il motto coniato in occasione di uno dei vari rifacimenti della stazione Termini, costruita da Salvatore Bianchi e inaugurata nel 1874, poi ammodernata nel fascismo e subito dopo. La filosofia con cui gli architetti, gli urbanisti, gli amministratori romani hanno sempre guardato a Termini è stata quella presa in prestito da T.S. Eliot. Ovvero: “Mescolare memoria e desiderio”. Nulla è rimasto purtroppo della memoria (Servio Tullio non prende il treno) e ancora di meno c’è traccia di desiderio: perché a Termini, lungo via Giolitti per esempio, il dormitorio con materassi e barboni sul marciapiede, ogni sogno è seppellito dal degrado. Viene la malinconia vedendo oggi Termini e leggendo che cosa è stata e che cosa sarebbe dovuta essere. Il libro lo hanno scritto due autori, uno olandese e uno svedese, s’intitola “Termini. Cornerstone of modern Rome” e nel divario tra le aspettative che suscitò, e per un certo rispettò, la grande stazione e la situazione attuale che partecipa del degrado generale della città c’è la storia di come troppi simboli di Roma siano stati ingiustamente depressi. Termini funziona bene o male come altre stazioni italiane, ma è la cornice di incuria e di abbandono che la penalizza. Doveva stazionare la storia nel celebre scalo voluto da Pio IX, ricostruito negli anni ‘30 e completato per l’Anno Santo del ‘50. E invece, lato via Giolitti, a mezzanotte, c’era una signora che faceva i bisogni davanti a una delle vetrate, sporchissime. 

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