@violalaviola
Ve lo ricordate il matto di piazza Barberini? Quello con le antenne in testa, le cuffie alle orecchie che cantava, strillava e poi all’improvviso sembrava dirigere un’orchestra. Si chiamava Remigio e non dava fastidio a nessuno. Anzi, tutti i giorni strappava sorrisi alle migliaia di persone che gli passavano davanti: un inchino e poi una pernacchia. E, spesso, per quelle migliaia di persone era l’unico sorriso dell’intera giornata.
Remigio è morto. E’ morto tre anni fa, proprio in questi giorni di ottobre. E la sua mancanza si sente. Perché nella sua follia, a volte, sembrava molto più lucido di tutte le giacche e cravatte che gli passavano vicino. Perché Remigio era la libertà che ci manca in una vita a trecento all’ora, compressi tra impegni e doveri. Remigio era ribellione verso un sistema troppo omologato che in pochi riescono a scardinare. Con le sue linguacce ci ricordava di essere un po’ meno seri e di vivere con un po’ più leggerezza.
Come quel ragazzotto di colore che tutti i giorni cammina contromano sulla Cristoforo Colombo trasportando sulla schiena un mostruoso carico di legna raccolta chissà dove. Tutti lo guardano e lui canticchia per i fatti suoi. O come quel vecchietto che ogni notte, intorno all’una, esce di casa con la scopa e pulisce tutta via Sistina fischiettando.
«Stay foolish» (siate matti) ha detto il genio della Apple Steve Jobs prima di morire. Mbè, Remigio l’aveva capito da un pezzo.
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