L'imputato Pasolini, a processo per le parolacce

di Pietro Piovani
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Mercoledì 23 Aprile 2014, 22:53 - Ultimo aggiornamento: 24 Aprile, 12:39
Preparatemi un letto al Palazzo delle @Esposizioni, grazie. Mi trasferisco per un po'. #PasoliniRoma #PassionEterna

@paolaiannetti








Tra le cose interessanti che si possono vedere nella mostra su Pier Paolo Pasolini al Palazzo delle Esposizioni, c'è un’intera parete ricoperta di vecchi ritagli di giornale. Quegli articoli raccontano i tanti processi, più di trenta, subiti dallo scrittore nel corso della sua vita, tutti risolti alla fine con un'assoluzione. Anche se i reati contestati furono i più vari (inclusa una fantomatica rapina a un benzinaio del Circeo che Pasolini avrebbe compiuto caricando la pistola con un proiettile d’oro), la maggior parte delle accuse nasceva dai contenuti della sua opera. O meglio, più ancora che dai contenuti, dalla forma, perché spesso i capi d’imputazione si riferivano al turpiloquio. Le udienze in tribunale si trasformarono in dibattiti di linguistica e di critica letteraria o cinematografica. Una volta fu chiamato a testimoniare il grande poeta Giuseppe Ungaretti, che dichiarò la sua ammirazione per l'autore di "Ragazzi di vita" e confermò la tesi della difesa, e cioè che le parole pronunciate dai personaggi del romanzo erano quelle abitualmente usate dai giovani del sottoproletariato romano: «Sarebbe stato, mi pare, offendere la verità, farli parlare come cicisbei». In un'altra occasione l'intera corte decise di riunirsi intorno a una moviola per analizzare nel dettaglio le sequenze del film “La ricotta”. Sempre durante il processo sul presunto «contenuto pornografico» del romanzo “Ragazzi di vita”, il giudice chiese a Pasolini: d'accordo, lei sostiene di aver usato quei termini osceni per imitare il linguaggio delle borgate romane, ma allora perché le stesse parole si ritrovano anche nel discorso indiretto, fuori dalle virgolette, quando a parlare è l’autore? La risposta dell'imputato è una splendida lezione di tecnica della scrittura. Pasolini spiega di adottare nella sua prosa il “discorso libero indiretto”: il narratore usa una voce che non è la sua, ma riproduce il modo di parlare e di pensare dei suoi personaggi.

Gli insegnanti di Italiano, e anche quelli di Storia, dovrebbero portare gli studenti a vedere la mostra su Pasolini, per scoprire che nell’Italia dei loro nonni si rischiava di essere puniti dalla legge per aver scritto una parolaccia.



pietro.piovani@ilmessaggero.it