Opera d’arte o panino, nel nome del selfie

di Maria Lombardi
2 Minuti di Lettura
Venerdì 12 Dicembre 2014, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 00:32
Era bello quando in discoteca

si andava per rimorchiare

e non per ammazzarsi di selfie

da scaricare su Facebook


@p_episcopo



Eccoci! Siamo qui, ai Musei Vaticani, e l'amico con i riccioli di marmo alle nostre spalle è Laocoonte. Sorriso e flash. Il selfie con il sacerdote di Apollo. Le tre ragazze postano all'istante l'autoscatto mitologico, è stata una bella fatica. Per conquistarlo hanno fatto almeno due ore di fila, sopportato spintoni e ressa, pazientato a pochi passi dalla scultura. Non si hanno più di trenta secondi da dedicare allo strazio del troiano divorato dai serpenti marini con i figli, la folla spinge e trascina avanti.



Le ragazze arrivano davanti a Laocoonte e invece di guardarlo gli voltano le spalle per guardare se stesse sullo schermo. E per fortuna nella cappella Sistina sono vietati scatti e flash altrimenti immaginate le pose spericolate per un selfie con Dio. La propria faccia al posto del volto dipinto da Michelangelo per rappresentare l'umanità e il dito che sfiora quello del Creatore. Ma chi ci crediamo di essere? Sempre e solo noi in primo piano, davanti a un panino come a un'opera d'arte, il mondo ci fa da sfondo.



Onnipresenti e prepotenti, narcisi e bambini, perennemente inquadrati, qualcosa vorrà dire. Lo psicologo ed economista americano Dan Ariely spiega così la mania dell'autoscatto: i selfie ci fanno sentire meno precari e soli, ci si stringe per entrare tutti nello schermo, è l'esaltazione del condividere, e in tempi di crisi dà sollievo. In più è esteticamente democratico, non importa come si viene ma catturare l'attimo. Boh, sarà. Magari, qualche piccola accortezza, la prossima volta stringiamoci all'amico e lasciamo in pace Laocoonte.



maria.lombardi@ilmessaggero.it