Mario Romano, l'artigiano dell'ago e filo da mezzo secolo: «Io, Laura Antonelli e i viaggi in taxi da Coppola»

Mario Romano, l'artigiano dell'ago e filo da mezzo secolo: «Io, Laura Antonelli e i viaggi in taxi da Coppola»
di di Rosalba Emiliozzi
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Sabato 20 Ottobre 2018, 11:28 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 14:30
Ha vissuto la Roma degli anni Sessanta, lui giovanissimo sarto e la Capitale attorno che esplodeva di splendore. «Era una città pulita e non solo all’apparenza, bella, luminosa, piena di occasioni - racconta Mario Carmelo Romano, 76 anni - allora avevo 20 anni ed ero appena arrivato da Ponteromito, in provincia di Avellino. Via Veneto era come il Paradiso». In mano Mario aveva la sua professione, l’abilità nel tagliare e cucire vestiti. E subito entrò nel grande giro.

Tra i suoi clienti più famosi?
«Il regista Francis Ford Coppola, gli feci un cappotto di cachemire elegantissimo, color cammello. Mi pagava il taxi per andare a fare le prove in albergo, all’Excelsior, mi diede un milione e mezzo di lire».
Altri personaggi famosi?
«Laura Antonelli, bellissima, l’ho conosciuta molto bene. L’abito nero che indossa nel film “Malizia” l’ho realizzato io, qui, con la mia vecchia Singer. All’epoca frequentavo il mondo del cinema e della tv, ho conosciuto e vestito Pippo Baudo e Agostina Belli. Una volta, in un film, mi capitò di fare anche la controfigura a Vittorio Gassmann».
Cosa ha un abito su misura?
«Un cuore, è calore, arte, quando lo lavori e lo appoggi sul manichino deve sorridere. Il vestito che io costruisco è italiano. Lo sa che su un abito fatto a mano ci sono 7.740 punti?»
Chi lo indossa oggi?
«L’uomo maturo che vuole personalità e qualche ragazzo che non veste standard».
Qual è l’abito che non deve mancare nel guardaroba?
«Il doppiopetto gessato, è un capo elegante utile per molte occasioni».
La cravatta per un uomo è sempre necessaria?
«Sì, completa il “matrimonio” con il vestito»
Lei quante cravatte ha?
«Io? 3.400 e la prima me l’ha regalata Catherine Spaak, ce l’ho ancora. Ho anche 250 camicie e 400 paia di calzini».
Sulle pareti del suo atelier, nel quartiere San Giovanni, ci sono ritagli di giornali e foto con personaggi famosi, oltre a vestiti e modelli di ogni genere.Un luogo di ricordi?
«Sono il mio passato, la sartoria ha 50 anni, l’ho aperta in via Saluzzo nel 1967, ora sta per diventare bottega storica».
Una bella soddisfazione.
«La stessa di quando sono arrivato secondo alle Forbici d’oro nell’85, e quando, nel 2009, sono stato premiato come maestro artigiano di Roma».
Il suo sogno?
«Vorrei lasciare la sartoria a un ragazzo volenteroso. Sono vedovo e non ho figli, non voglio morire nel nulla. Cerco un sarto che abbia voglia di continuare questo mestiere oggi trascurato».
Quanti allievi ha avuto?
«Una quindicina. Tra i più bravi un ragazzo che ora vive a Londra, una donna e due stranieri, uno del Bangladesh e l’altro della Tunisia, che hanno imparato il mestiere e lavorano nel loro Paese».
Quanto dura un capo fatto a mano?
«Un capo di sartoria si indossa per 10 anni almeno e veste sempre».
La caratteristica dei suoi vestiti?
«Hanno le iniziali nelle giacche».
Cosa si è inventato?
«L’orlo americano, con una tecnica particolare riesco a farlo come l’originale».
Si può fare davvero tutto con un paio di forbici e una buona stoffa?
«L’impossibile non si realizza, ma si trova in sartoria». 
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