Ecco Cosimato, la chiesa per un santo che non esiste

Ecco Cosimato, la chiesa per un santo che non esiste
di Fabio Isman
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Domenica 16 Luglio 2017, 12:02
LA STORIA
A Trastevere, ci sono una piazza e una chiesa intitolate a un santo che non esiste: Cosimato non è infatti presente in alcun martirologio, o elenco di beati. E' solo una crasi, un'abbreviazione popolare del nome di due martiri, invece vissuti per davvero: Cosma e Damiano, due fratelli medici, cui sono attribuite 47 guarigioni miracolose (li chiamavano «anargiri», cioè privi di danaro: curavano gratuitamente), decapitati nel 303 a Ciro, vicino ad Antiochia, ai tempi di Diocleziano imperatore. Roma possiede almeno due luoghi sacri a loro votati: uno a via dei Barbieri, largo di Torre Argentina; l'altro, detto anche «Basilica del beato Felice» perché edificata da Felice IV nel 527 al Foro Romano. Anzi, qui i fratelli compiono l'ultimo prodigio, o forse il primo trapianto della storia: il custode dell'edificio sulla Via Sacra aveva una cancrena a una gamba; sogna i due, che gliela sostituiscono con una di un etiope deceduto; e si sveglia guarito. Però San Cosimato ha una storia tutta sua, assai complicata e, per certi versi, anche affascinante.

LA GENESI
Sappiamo che a metà del X secolo, sorge un monastero «in mica aurea», perché costruito sulle sabbie del Gianicolo, lievemente dorate. Chiesa consacrata da Alessandro II nel 1069: lo ricorda una lapide trovata a fine Ottocento, ed ancora conservata. Da qui cominciano infiniti mutamenti di, diciamo così, proprietà. Prima, i Camaldolesi; dopo, le Clarisse, che nel 1246 restaurano, grazie ai fondi della badessa Jacopa Cenci. Ma nel 1475, il sito era fatiscente: Sisto IV della Rovere fa riedificare tutto. Resta il portale quattrocentesco della scuola di Andrea Bregno, con una bella cornice di marmo, e sull'architrave l'iscrizione che ricorda questa seconda nascita del luogo; la facciata è invece semplicissima, in laterizio. L'interno ha una sola navata: soffitto ligneo, con qualche opera interessante.

L'OSPEDALE
Il monastero, invece, fa ormai parte del nosocomio Nuovo Regina Margherita. La facciata è sulla piazza, preceduta da un protiro di XII secolo, a un livello più basso di quello odierno. Da qui, un tempo, si accedeva a due chiostri: uno del 1240 a due piani (quello superiore tamponato due secoli dopo), e l'altro a pilastri, con un pozzo al centro. Ma nel 1891, tutto è requisito dal Comune, e diviene ospizio: le suore, trasferite altrove; e dal 1960, il convento è inglobato nell'ospedale, aperto dieci anni dopo. Nel 1643, quando si innalzano le Mura Gianicolensi, lo si voleva abbattere: fu soltanto la severa opposizione delle suore a scongiurare il pericolo. Ma nel 1810, i francesi sopprimono il convento; restituito nel 1814. Nel 1891 la fine. Ora, al monastero si accede da via Roma Libera 76. C'è un'antica tazza in granito, nel 1731 trasformata in fontana. E i due chiostri: uno è il più grande della Roma medievale, un quadrangolo di 40 metri. Archetti a doppia ghiera, con le colonnine (molte) antiche; sotto i portici, tante lapidi: altrettanti squarci di storia, e di storie.

L'INTERNO
Nel presbiterio della chiesa, una Madonna con il Bambino di Antonio del Massaro detto il Pastura: un allievo di Pintoricchio. E sull'altare, la copia di un'altra Madonna del XII secolo: l'originale, per motivi di sicurezza, è all'Istituto del Restauro. Pare che provenga dall'antica basilica di San Pietro; era ricoperta di ex voto, perché ritenuta miracolosa. Viene rubata nel Seicento: la ritrova, nel Tevere, Leone X de' Medici: la pone sul ponte sotto cui era stata recuperata. Poi, però, più volte trasferita, fino all'ultimo domicilio. La chiesa possiede anche un piccolo campanile romanico. E non è l'unica intitolata a un santo inesistente: a Roma, ci sono anche Santa Filomena, e Sant'Espedito; e perfino Santa Passera, che deriva da un antico Sant'Abbacyri, per progressive storpiature. Ma a Venezia, cristianamente sempre un po' anarchica, François Maximilien Misson notava quelle «dedicate all'onest'uomo Giacomo, e ai profeti Mosè, Samuele, Geremia, Daniele e Zaccaria». Nella Capitale, tuttavia, quello di San Cosimato è un caso quasi senza paragoni.
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