Quella chiesa sopra il camposanto

Quella chiesa sopra il camposanto
di Fabio Isman
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Domenica 22 Gennaio 2017, 20:02
È piccola, e pochi la conoscono. È a via Giulia, quasi al suo termine: vicina all'Arco Farnese. Da fuori, sembra una normale chiesa barocca. Ma Santa Maria dell'Orazione e della Morte tramanda una storia assai curiosa. E conserva, sotto di sé, gli incredibili resti di un camposanto. Dal 1538, in città, un'arciconfraternita si occupava di dare sepoltura ai corpi senza nome, trovati in campagna o nel Tevere annegati. In oltre trent'anni, cambia sede almeno quattro volte. Finché non si stabilisce qui. Compera un terreno e un paio di edifici attigui. Innalza la chiesa. È il 1576: ci sono anche un oratorio e un cimitero, in parte sotterraneo e sulle rive del Tevere. Quando nel 1886 se ne costruiscono i muraglioni, questa porzione è demolita.

I RESTI
Intanto, però, la Confraternita ha acquisito rilievo (e, probabilmente, anche offerte) che permette più di un luogo divenuto insufficiente. Assolda Francesco Fuga, un grande architetto, che nel 1737 ricostruisce tutto, e lo rende quale oggi lo vediamo. Una facciata in due ordini, colonne e pilastri, i timpani curvi, uno spezzato. E il portale decorato con teschi alati, lo sormontano la clessidra e la dicitura dell'indulgenza plenaria. Alla base, due riquadri in marmo della chiesa precedente, con scheletri graffiti e altre due iscrizioni. Una per le elemosine, e l'altra dice «hodie mihi, cras tibi»: oggi a me e domani a te. La morte sta seduta su una panca, e guarda, clessidra in mano, un cadavere a terra. Ma passando per via Giulia, molti non si degnano nemmeno di uno sguardo. Forse, è la chiesa più mortuaria della città.

Un altro teschio, con le ali, è anche sopra il finestrone centrale. All'interno, pianta ellittica, tre dipinti di Giovanni Lanfranco, la copia di un Guido Reni, una Crocifissione di Ciro Ferri sull'altare maggiore. Nell'ottavario dei defunti, a novembre, prima del 1870 si rappresentavano anche non meglio precisati «fatti storici» con figure di cera a grandezza naturale. «Un uso che impressionava le menti fanciullesche e istruiva il popolo», sparito dopo l'Unità, racconta nel 1763 un testo di Filippo Titi.

OSSA PER ARREDO
Ma è la parte sotterranea a destare sensazione. È quanto rimane dell'originale cimitero dove, dal 1552 al 1896, sono state inumate oltre ottomila persone. Tutto qui è fatto di ossa e scheletri; anche le decorazioni e sculture, perfino i lampadari. Su alcuni teschi, il nome e una data. Un tempo, erano vari stanzoni; e qualcosa del genere si vede ancora nella cripta di Santa Maria della Concezione, più nota come la chiesa dei Cappuccini, o Santa Maria Immacolata, a via Veneto. Il sodalizio è erede diretto della Compagnia della Pietà, che esisteva dal 1448 nella chiesetta di San Pantaleo sul Tevere, detta anche in chiavica, concessa per la cura degli appestati. Inizia con una cinquantina di volontari, imita la Misericordia di Firenze. E tutto nasce da una predica di un tal Roberto da Lecce, a Roma sul Campidoglio, proprio in occasione di una peste. Un corteo quasi spontaneo, pare anche di fustiganti, fino a Santa Maria Maggiore; ed ecco il primo sodalizio.

CHI VI RIPOSA
Ora delle vecchie sale non rimane più nulla, nemmeno dell'oratorio. Restano alcune spoglie e alcuni arredi; con un antico cataletto, una barella per il trasporto; e il ricordo di confratelli illustri che forse qui riposano, tra cui, in una fossa comune con i poveri, pare Ferdinando Fuga stesso. Insieme con un letterato, Giovanni Ceruso, noto per aver fondato ospizi per bambini e scuole per i discoli; e una serie d'altri personaggi, alcuni con un loro sepolcro: anche Paolo Pericoli, il cofondatore dell'Azione cattolica. Nella confraternita hanno rivestito cariche anche otto papi (da Paolo III a Pio IX), e il cardinale Federico Borromeo. Di lei si sono interessati Bartolomeo Pinelli, Cesare Pascarella e perfino Giuseppe Gioachino Belli e Antonello Trombadori: lo assicura il Vicariato, e sarà vero. Alla cripta si arriva dalla sacrestia, a sinistra dell'altare.

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