Il Papa e la prima fabbrica di tabacco

Il Papa e la prima fabbrica di tabacco
di Fabio Isman
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Domenica 28 Maggio 2017, 10:57
A Roma, il tabacco arriva a fine Cinquecento. Lo porta il cardinale Prospero Publicola de Santa Croce che, da nunzio in Portogallo, ne conosce l'inventore, il francese Jean Nicot, diplomatico a Lisbona. Nell'Urbe, all'inizio, era chiamata appunto «Erba Santacroce». Lui, è sepolto a Santa Maria della Scala. E il quartiere di Trastevere, dove la chiesa si trova, è sempre stato collegato al tabacco. Nel Seicento, Alessandro VII Chigi ne concede il diritto di produzione ai fratelli Michilli; nel secolo successivo Giovanni Michilli e Giovanni Antonio Bonamici costruiscono una fabbrica a Via Garibaldi, opera di Luigi Vanvitelli, il creatore anche della Reggia di Caserta. Dopo, diverrà il Conservatorio Pio, ed ora vi hanno sede i carabinieri. Gli impianti usavano l'Acqua Paola. La privativa del tabacco si fonde poi con quella dell'acquavite (Bacco e tabacco...); e si pensava che le coltivazioni e la lavorazione avrebbero potuto offrire tanto lavoro e grande ricchezza.

CITTÀ POVERA
Il problema di industrializzare la città era antico: era abitata prevalentemente da accattoni e persone al servizio dei nobili e dei cardinali, oltre che dal clero. Così, per esempio, nel 1585 Sisto V Peretti, per «trovar modo che le povere genti possano vivere delle loro fatighe», stanzia 28 mila scudi dedicati alla lavorazione della seta alle Terme di Diocleziano, e della lana al Colosseo; intendeva perfino renderlo abitabile: 36 miniappartamenti, dati a altrettanti setaioli. Per fortuna, non se ne fece nulla. Ma nel 1757, valutandolo dannoso alle finanze dello Stato Pontificio, la Camera apostolica abolisce il monopolio. Tornerà nel 1808, quando a Roma arrivano i francesi. E Pio VII Chiaramonti ne riporta la produzione a Trastevere.
All'inizio del secolo XIX, vicino all'ospedale di Santa Margherita si lavorava il tabacco da fiuto; al San Michele si fabbricavano i «sigari forti»; a Santa Maria dell'Orto, quelli «leggeri». Ma gli opifici erano tutti malmessi. Dal 1831, per dieci anni, il monopolio, ormai di sale e tabacchi, va ai Torlonia.

GLI INCASSI
L'erudito marchese Giuseppe Melchiorri, cugino di Giacomo Leopardi, dice che nel 1839 Roma, produceva 50 milioni di sigari all'anno, e 170 mila chili di tabacco da naso e di trinciato. Lo Stato Pontificio aveva altre due fabbriche: a Chiaravalle (funziona ancora) e a Bologna. Per conservarsi il monopolio, il principe Torlonia sborsa un milione e 350 mila scudi, in rate mensili. La popolazione consumava 17 milioni di chili di sale, e c'erano oltre cento tabaccai. Dal 1855, il papa ne avoca la produzione e il commercio; e nelle casse pontificie entrano ogni anno due milioni di scudi: è il terzo reddito dello Stato, dopo le dogane e le tasse sui «fondi rustici». Il 1860, con la perdita delle Marche e dell'Umbria, provoca un crollo delle entrate: si riducono di tre quarti. Nasce così un nuovo impianto, che unifica tutti quelli già esistenti.

NUOVA FABBRICA
La Manifattura di Pio IX a piazza Mastai era immensa: 168 metri di facciata (poi decurtata nel 1958); appena tre anni per edificarla, fino al 1863: otto colonne doriche, e un timpano che le sovrasta; un piccolo portale d'ingresso, e, all'inaugurazione, il pontefice celia: «Adesso, che sono entrato dalla finestra, fatemi vedere dove è la porta». La fattura è neoclassica, di Antonio Sarti. Di fronte, il papa vuole un quartiere di abitazioni popolari: però, la piazza verrà poi stravolta dall'apertura di Viale Trastevere; ora, sono in via Merry Del Val. E in mezzo, ecco una fontana, di Andrea Busiri Vici: quattro delfini dalle code intrecciate, un catino con sopra quattro amorini; un tempo, era chiusa con una cancellata, e circondata di aiuole. Dal 1927, è la sede dei Monopoli di Stato: ormai, soprattutto giochi. La produzione finisce alla Garbatella. Nel 1999, nasce l'Eti, Ente tabacchi italiani; nel 2004, viene ceduto alla British American Tobacco. A Chiaravalle, si produce ancora; come in altri tre luoghi d'Italia.