La basilica più antica della Città Eterna

La basilica più antica della Città Eterna
di Fabio Isman
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Domenica 7 Maggio 2017, 10:14
È sepolta dalle costruzioni successive. Svillaneggiata dai tanti rifacimenti nel tempo. Semisconosciuta. Eppure, per qualcuno, è la più antica chiesa della città: ci riporta ai primi vagiti del Cristianesimo, e conserva un mosaico tra i più pregevoli, eloquenti, remoti. Santa Pudenziana è in via Urbana: l'antico «Vicus Patricius», ampliato da Urbano VIII Barberini nel Seicento. Un'epigrafe sepolcrale del 384 cita un tal Leopardo come Lettore del luogo di culto con questo nome: nell'ex proprietà del senatore Pudente, che è citato nelle Scritture, e avrebbe ospitato San Pietro, da cui fu anzi battezzato, con le figlie Pudenziana e Prassede.
Le donne, durante la persecuzione di Antonino Pio, curarono la sepoltura dei martiri e forse furono uccise con il padre. Sepolte nel cimitero di Priscilla, Pudenziana è traslata, nel 1586, nella chiesa che ormai ne reca il nome.

SOTTOTERRA
Oggi l'antica basilica giace sotto il livello stradale. A fine Cinquecento, Enrico Caetani, cardinale, ne sacrificò l'abside (e perfino parte del mosaico ancora esistente, del V secolo), per creare la cappella di famiglia. La facciata, poi, è alquanto anonima: frutto di un rifacimento del 1870. Per fortuna, resta lo splendido campanile romanico, cinque piani con loggette e trifore, del 1199. A undici metri di profondità, ci informa Carlo Pavia, ritrovate le tracce del Vicus Patricius, e della fornace che era di Prudente, con una serie di locali delle Terme di Novato e di un'«insula» del II secolo, poi trasformati in sepolcri da papa Pasquale I nell'800, e usati fino al 1800. I primi scavi sono del Settecento; ma di qualche scoperta parla già Antonio Bosio, cui si deve lo studio di Roma sotterranea: dice di «stanze, e portici fabbricati in cementi e calce». Oggi, con qualche difficoltà, là sotto si riesce ancora a vedere qualcosa.

IL MOSAICO
La primitiva chiesa, nella casa di Pudente donata dai figli a Pio I e dove forse soggiornò pure san Paolo, è rifatta da papa Siricio, che muore nel 399; a un'epoca poco successiva (tra il 410 e il 417) risale il magnifico mosaico absidale con Cristo in trono vestito di abiti regali, e attorno gli Apostoli con San Paolo. Dietro, un portico semicircolare, e sullo sfondo edifici della città: distrutti appena 60 anni dopo, quando cade l'Impero romano d'Occidente. Nel cielo, gli animali simbolici degli Evangelisti: il leone per San Marco, il vitello per San Luca, un capretto per San Matteo, l'aquila per San Giovanni. Matteo è effigiato con il volto umano. È considerato il più antico mosaico absidale della Chiesa: infatti, il luogo si è preservato dal saccheggio di Alarico; e subito dopo, chissà se per ringraziamento, viene iniziata la stesura del mosaico: Cristo ha in mano un libro su cui è scritto: «Il Signore che ha salvato la chiesa di Pudente». E' stato restaurato, l'ultima volta, nel 2003. La Chiesa vi è mostrata come la Città di Dio, che sopravvive a quella degli uomini, che (appunto) le è dietro; e proclama, come dai precedenti Concili di Nicea e Costantinopoli, il Cristo «vero uomo». Vi compaiono anche due donne: forse, sono Pudenziana e Prassede.

RIFACIMENTI
In origine, la basilica era a tre navate. Ora, ai lati le restano solo una serie di cappelle. La più importante è dei Caetani, inziata da Francesco da Volterra e conclusa, nel 1601, da Carlo Maderno: sfarzosa, con le statue delle Virtù scolpite da Bernini. Di fronte, è un pozzo dove, secondo la leggenda, Pudenzana avrebbe raccolto le ossa di ben tremila martiri. L'edificio è rifatto nell'VIII, XI e XIII secolo; rimaneggiato a fine Cinquecento; ottocentesca la facciata, che conserva rimasugli riadattati del protiro medievale, e un interessante fregio a motivi vegetali. Ma l'urbanistica della città divenuta Capitale innalza di alcuni metri la strada anteriore. Nella navata centrale, c'è il monumento funebre del nipote di Napoleone: il cardinale Luciano, cui si deve anche lo svilimento ottocentesco. Oggi ospita la comunità filippina. Ma ne resta tutta la storia: troppo spesso ignorata da chi vi passa davanti.