Elezioni comunali a Roma, c’è la crisi e la Capitale sparisce: i partiti al palo sui candidati

C è la crisi e Roma sparisce, i partiti al palo sui candidati
di Mario Ajello
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Domenica 24 Gennaio 2021, 01:15 - Ultimo aggiornamento: 15:03

La crisi di governo ha ingessato ciò che era già fermo. Chi ricorda più che, tra pochi mesi a Roma, e non solo qui, si dovrebbe votare per le Comunali? Le elezioni per il Campidoglio sono lontane dal cuore dei partiti e la crisi di governo le sta rendendo ancora più remote, non interessanti, marginali rispetto a quella che è l’ossessione che assorbe tutte le attenzioni del Pd e di M5S e del centrodestra e cioè le sorti di Conte del quadro politico che ne ha garantito la sopravvivenza in rossogiallo dal settembre del 2019 fino ad ora.

Se la data indicata inizialmente per il voto a Roma, e altrove, era la primavera prossima, sembra sempre più probabile - per la gioia dei contendenti che non hanno né programmi né candidati a disposizione - che l’appuntamento slitti a causa dell’infinita emergenza Covid.

La decisione è nelle mani del governo che, dopo aver posticipato le elezioni regionali calabresi all’11 aprile, su Roma e sul resto non sa come muoversi. 

L’ipotesi è di rinviare tutto a dopo l’estate. C’è tempo fino a marzo per decidere ma c’è da vedere come si uscirà dalla crisi di governo. Un rinvio non dispiace affatto ai partiti - nonostante i romani sentano il bisogno di sapere come dev’essere e come sarà la città in cui vivono - privi di visione su Roma e bloccati dai veti e controveti interni alle coalizioni. Il problema è che, a livello politico, è come se la questione romana e il voto per il Campidoglio non esistessero. E questo è un grave danno per una città che ha bisogno di ripartire al più presto e necessita di un governo nazionale nel pieno delle sue funzioni, capace di dare alla Capitale non 8 miliardi del Recovery Fund, secondo l’ultima bozza del documento da inviare alla Ue, ma sperabilmente di più e almeno quei 25 miliardi che la sindaca Raggi ha chiesto per la ripartenza della città guida del nostro Paese. 

Roma come priorità? Macché. Quando il tema del che fare della Capitale viene posto al Nazareno, il quartier generale del Pd, partito che esprime una leadership in Italia e in Europa (si pensi a Gentiloni e a Sassoli, oltre che a Zingaretti e a Gualtieri) tutta di marca romana, si viene respinti quasi con fastidio: «Poi ci penseremo...». 

In un Paese da rifare, e con un governo nazionale che deve ricominciare, Roma può essere considerata un fastidio solo perché né la sinistra né il centrodestra sanno che cosa fare di lei e non riescono a trovare chi si prenda il peso (in realtà l’onore) di pensare di guidarla? Nelle telefonate tra i maggiorenti del centrodestra, e tra loro e i loro amici, è quasi diventata una barzelletta l’Urbe: «Pronto, caro, ah ciao, come stai? Non è che ti andrebbe di fare il sindaco di Roma visto che non vuole farlo nessuno?». A questo siamo. E dall’altra parte è la stessa cosa. 

Lo stallo e il buio sulle elezioni per il Campidoglio sono l’altra faccia dell’inconcludenza politica a livello nazionale. E l’importante è bloccare i propri partner. Basti vedere quel che è accaduto su Bertolaso: pareva pronto ad essere il candidato del centrodestra ma le liti interne hanno vanificato la soluzione. Sull’altro fronte, la frammentazione estrema sta bloccando la candidatura Calenda. Mentre M5S preme sui dem così: «Visto che volete Conte come premier anche vostro, perché non volere Raggi come candidata sindaca anche vostra?». Ma il Pd resiste («La Raggi è una minaccia per Roma», parola di Zingaretti) e rilancia rivolto a M5S: «Nel Conte Ter un posto da ministra per Virginia, così ci liberiamo di lei e troviamo un candidato rossiogiallo per impedire la calata della destra sul Campidoglio». 

Ecco, politicismi, difesa degli interessi particolari dei partiti a svantaggio del bene comune che sta a cuore ai romani. E la Roma dimenticata e maltrattata è il segno di una politica che, come si vede in questa crisi di governo in cui tutti si sono incartati, non sa fare più il suo mestiere.
 

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