Morire a Roma, trovarsi defunti in città, restare in attesa di una “degna sepoltura” nei suoi cimiteri. Morire a Roma, finire invece in un deposito o in una ghiacciaia, senza che la salma dei nostri cari possa subito riposare in pace. Il cimitero di Prima Porta, quello del Verano, si sono trasformati in luoghi irraggiungibili, davanti ai quali per mesi si fa le fila - e lo strazio dei familiari si può capire - per avere sepoltura. E stavolta c’entra poco l’emergenza Covid e molto i disservizi locali. Il Messeggero si occupa da par suo di questo problema che tormenta tanti cittadini che hanno perduto affetti cari. E ora c’è anche un libro che, in certe sue parti molto accurate, documentate ed empatiche allo stesso tempo, umanissime, affronta il tema. L’autore è Francesco Giro, politico, intellettuale, amante e conoscitore di Roma al punto che c’è chi lo vorrebbe candidato sindaco, il capitolo è quello intitolato «Morire con dignità» e il libro che lo contiene è «Interesse Capitale. Il giro di Roma in 80 giorni» (appena pubblicato da Gangemi editore).
«Roma - vi si legge - cioè la Capitale degli italiani e non solo dei romani non è in grado di garantire alle famiglie dei defunti tutte le procedure necessarie, come ad esempio la cremazione delle salme dei loro cari. E questo è davvero inaccettabile». Altro che potenziamento dei cimiteri, insomma. Non si possono portare le salme per la cremazione a Prima Porta, incalza Giro, con una passione civica che non è mai indignazione a vanvera, «perché in quel cimitero le linee funzionanti sono solo due su sei, se devo credere al Messaggero». E certo che deve crederci, e infatti ci crede. «Quindi le salme - continua il racconto - devono essere custodite al Verano in attesa poi di essere trasferite a Prima Porta. Nel frattempo, giungono proposte addirittura dalla Regione Campania per procedere alla cremazione delle salme in sovrannumero». Un po’ come avviene, ed è triste dirlo, per i rifiuti laziali che finiscono fuori regione perché qui non c’è posto per essi.
E c’è il tema della morte nel libro di Giro ma soprattutto i temi della vita dei romani che potrebbe essere migliore, molto migliore. Ma anche qui: nessun tono melodrammatico o da “indignato speciale” nei problemi della Capitale.
Da un politico e intellettuale di centrodestra (Giro è ex sottosegretario ai Beni Culturali e attuale senatore) ci si aspetterebbe un attacco ad alzo zero contro la sindaca Raggi. Ma non è questo lo scopo del libro e non è questo lo stile, mai demonizzante e molto aperto ad ogni confronto trasversale, del suo autore. Basti leggere un altro pacchetto di proposte che avanza in queste pagine. Quello riguardante la figura del sindaco di Roma, da potenziare in maniera creativa e fattiva. Come? Serve «il superamento per il solo sindaco di Roma di ogni forma di incompatibilità e di ineleggibilità al ruolo di parlamentare nazionale» (ovvero, se il sindaco è anche deputato o senatore è più forte politicamente). O ancora: «La facoltà del sindaco di Roma di partecipare alle riunioni del Consiglio dei ministri quando vengono trattati temi riguardanti la Capitale»; «il sindaco di Roma dura in carica un solo mandato, non ripetibile, ma più lungo: di sette anni. Ciò consentirebbe al sindaco da un lato di disporre di un tempo congruo per amministrare una città molto estesa (7-8 volte Milano) e assai complicata e dall’altro di non avere o ricevere alcun condizionamento politico per la rielezione al secondo mandato». Proposte così. Che non dovrebbero avere colore politico. Che sarebbero piaciute a un romano doc, Luigi Proietti, il quale è uno dei protagonisti di questo libro. Diceva: «Auguro a Roma tutto il bene possibile. Spesso anche noi romani non la amiamo a sufficienza». Non era il caso suo, e non è neppure quello di Francesco Giro.
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