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ROMA

Roma: bus, rifiuti, buche e... da sindaco a sindaco ecco cosa fa più paura

Roma: bus, rifiuti, buche e... da sindaco a sindaco ecco cosa fa più paura
Articolo riservato agli abbonati
15 Agosto 2020 di Lorenzo De Cicco (Lettura 7 minuti)
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Bus, rifiuti, buche e... da sindaco a sindaco cosa fa paura di Roma. Da Firenze a Reggio Calabria, parlano i primi cittadini: «Nessun candidato di peso per la Città eterna? Governarla fa tremare i polsi ma è un privilegio». Il campionario è vario: le immarcescibili buche, i conti in rosso, la raccolta dell’immondizia che va in crisi ogni due per tre, gli scalcinati trasporti pubblici. Ma cosa spaventa di più nella candidatura a sindaco di Roma, che difatti i big dei vari schieramenti politici, da destra a sinistra, sembrano rifuggire? «Troppi debiti e problemi stratificati negli anni», «la burocrazia malmostosa, senza poteri speciali non se ne viene fuori», «i rifiuti, servono decisioni scomode», «buche e trasporti, ma con il Recovery Fund i soldi ci saranno». Sono le risposte dei “colleghi” di alcune tra le principali città italiane. Tutti convinti, al netto della complessità della sfida Capitale, che quel ruolo, però, non abbia pari. C’è anche chi, come il sindaco di Firenze Nardella, lo dice dritto: «Fossi romano, mi candiderei di corsa». Sembra un invito a farsi avanti: alle elezioni di Roma mancano 10 mesi.

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I sindaci

 

Merola (Bologna)


«Tanti debiti e problemi un mandato non basta, questo può intimorire»

«Cosa spaventa di Roma? Lo dico in una parola: il pregresso», risponde Virginio Merola, sindaco di Bologna dal 2011, l'unico nella sua città ad acciuffare il traguardo del secondo mandato con l'elezione diretta, una carriera tutta nella ditta: Pci, Pds, ora Pd.

Che significa pregresso?
«Intendo quel groviglio di problemi che si sono stratificati negli anni. Il tema è quello: ormai un mandato non basta per risolverli. I trasporti, la crisi dei rifiuti, i debiti che si sono accumulati nel corso del tempo. Penso che chiunque sia sfiorato dall'idea di candidarsi sia consapevole che servano almeno due mandati per cambiare le cose. Lo dico anche per quello che ho sperimentato qui a Bologna: prima di me il sindaco cambiava a ogni elezione e scontavamo ritardi su tante opere. E a Roma lo scenario è ancora più intricato e complesso».

Ma non ci sono solo le beghe amministrative. C'è anche l'orgoglio del ruolo, della missione, o no?
«Ma certo, il sindaco di Roma dovrebbe essere il primo sindaco d'Italia, quella della Capitale è da sempre un'elezione nazionale, fa capire i possibili cambiamenti che stanno avvenendo nel Paese. Pensiamo a quello che è successo la volta scorsa, con Raggi, e a quello che è accaduto alle politiche due anni dopo».

Un giudizio sulla sindaca uscente, la cui ricandidatura suscita polemiche anche tra i suoi?
«Credo che sconti soprattutto una cosa, il fatto di provenire da un movimento che non ha alcuna storia amministrativa, ha imparato sul campo, diciamo, e non so se sarà sufficiente per ottenere la rielezione. Abbiamo riscoperto l'esperienza, adesso. Sono al secondo mandato, quindi assisto sempre con un certo distacco alle polemiche politiche. Ma vista da fuori, quella di Roma è una situazione davvero complicata. La Capitale ha bisogno di un governo lungo, di una decina d'anni, per cambiare davvero le cose».
 

Nardella (Firenze)


«Da romano correrei ma i leader non osano Le strade? I soldi ci sono»

«Se fossi un politico romano mi candiderei di corsa», dice Dario Nardella, sindaco dem di Firenze dal 2014, subito dopo Renzi (dopo la scissione è rimasto nel Pd).

Davvero?
«Certamente. Oggi purtroppo i politici nazionali preferiscono strade comode al cimento straordinario ma temerario del governo di una delle Capitali più importanti al mondo. È un brutto sintomo, spero possa essere smentito».

Tra i big della politica italiana, di qualsiasi schieramento, nessuno a quanto pare vuole fare il sindaco della Capitale...
«Ma il sindaco di Roma hapiù forza di qualunque ministro, può contare su una proiezione internazionale pari solo a quella di un capo di governo. Credo che sia la sfida più bella. E se i leader politici non la considerano tale, significa che la classe politica italiana non ha più la capacità di osare e avere visione. Le difficoltà ci sono, ma credo che un sindaco possa essere preoccupato, spaventato mai».

Perché tanti si tengono lontani dal Campidoglio?
«Le sfide di Roma appaiono eccezionali, è una metropoli complessa, va governata in condizioni economiche difficili, con quartieri molto diversi, estesi e attraversati da fenomeni di corruzione e criminalità».

I problemi più difficili da gestire?
«I rifiuti, i trasporti, le buche. Tutti e tre rilevanti. Per i rifiuti la verità è che serve una strategia coraggiosa, di lungo periodo, impianti moderni, l’eliminazione delle discariche, una vera economia circolare. Per i trasporti, non c’è solo il problema dei mezzi e delle infrastrutture, ma anche quello della gestione. A Firenze abbiamo fatto una scelta coraggiosa che ha portato alla privatizzazione dell’azienda dei bus, questo può rendere un servizio efficiente. Sulle strade occorre sistematicità e buona organizzazione, oltre che una grande quantità di risorse, ma ora c’è l’opportunità del Recovery Fund. Sogno una sfida per Roma tra i politici romani più forti e conosciuti del Paese».
 

Dipiazza (Trieste)


«Da sindaco del Nord dico: poteri extra alla Città eterna o non ne verrà fuori»

«Io a Trieste mi diverto, quando penso al sindaco di Roma, ogni tanto mi viene da dire: mamma mia, povero chi lo fa. Ma no, scherzo, lo so che è un onore fare il sindaco della propria città, però...». Roberto Dipiazza, classe 1953, Forza Italia, sindaco di Trieste dal 2001 al 2011 e poi di nuovo dal 2016 a oggi, al terzo mandato, racconta di sentirsi «fortunato».

Perché?
«La verità è che ormai fare il sindaco di una grande città come Roma rischia di essere un dramma. Non ricordo dove ho letto che noi abbiamo 100mila leggi, in Italia, mentre i tedeschi 10mila. Non so se è esatto, ma non credo che sia molto lontano dalla verità. Ecco, una città di 200mila persone come Trieste io posso anche divertirmi a cambiarla. Certo, mi danno 2.700 euro al mese, senza benefit, e in tanti anni non ho mai ricevuto un avviso di garanzia per abuso d’ufficio o cose simili. Ma Roma è un’altra cosa, tutte altre dimensioni, come città e come sfide. Come problemi. Non penso solo alla vetustità degli autobus o alle strade martoriate dalle buche».

Ah no? E cos’è allora che potrebbe frenare chi vorrebbe candidarsi alla guida della Capitale?
«Mi riferisco soprattutto alla sua burocrazia malmostosa. Oggi fare il sindaco di una grande città come Roma, che sia un politico di destra o di sinistra, è un dramma. Sono realtà talmente grandi da amministrare che diventa davvero difficile. Il sindaco della Capitale dovrebbe avere poteri straordinari».

Lo dice lei, sindaco di una città del Nord?
«Ne sono convinto: ci sarebbe bisogno di una legge speciale varata dal Parlamento, con un sindaco che possa rimettere a posto la Capitale alla stregua di un commissario. Ma attenzione, non intendo un prefetto, ma un manager, qualcuno che porti avanti il lavoro senza scendere a patti. Anche il miglior sindaco del mondo, senza pieni poteri, non ne verrebbe fuori».
 

Falcomatà (Reggio Calabria)


«L’emergenza più difficile? L’immondizia Per risolverla servono decisioni scomode»

«I l problema principale di Roma? I rifiuti», risponde a colpo sicuro Giuseppe Falcomatà, 36 anni, sindaco di Reggio Calabria dal 2014 (Pd).

Perché l’immondizia?
«Beh, ci sono tante competenze, non solo del Comune, ma anche della Regione, della Città metropolitana, quindi serve una buona sinergia, da soli si risolve poco. E bisogna prendere decisioni scomode, come un buon sindaco dovrebbe fare sempre, in teoria».

Perché per Roma si fatica a trovare un nome di peso? Che idea si è fatto?
«I problemi sono tantissimi, le responsabilità enormi e non sempre si riesce a farvi fronte, anche perché le risorse economiche non sono adeguate, questo purtroppo è un tema che riguarda tutti i Comuni. Solo un passaggio su Reggio: qui siamo passati da 60 a 20 milioni per garantire gli stessi servizi pubblici essenziali di prima. Poi il sindaco di una città come Roma è anche sindaco metropolitano, di tutta la provincia, doppio ruolo ma la giornata sempre 24 ore ha. Però, certo, è un peccato...».

L’assenza di candidati di rilievo?
«Ma sì, sono convinto che fare il sindaco della propria città sia un’esperienza politica e umana unica al mondo, è un grandissimo onore, un’avventura totalizzante, 365 giorni l’anno, senza avere l’orologio in mano. Per chi fa politica, non c’è un’esperienza politica paragonabile come intensità».

A quanto pare l’appeal dell’esperienza umana non basta...
«Perché sul sindaco poi c’è un’altissima aspettativa, si diventa punti di riferimento unici. Raramente vediamo un cittadino andare a protestare con un parlamentare o un consigliere regionale. Attacca il sindaco, anche per questioni in cui magari il Comune non ha una competenza diretta. Roma è più grande e ha più problemi. Ma se penso al manto stradale, ai rifiuti, alla mobilità, sentendo i miei colleghi, mi viene da dire: tutto il mondo è Paese».

 

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