Michetti, addio Campidoglio. Ira di FI e Lega: irrispettoso

Michetti, addio Campidoglio. Ira di FI e Lega: irrispettoso
di Francesco Pacifico
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Domenica 31 Ottobre 2021, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 01:17

Dal 9 giugno scorso, giorno dell’annuncio della sua candidatura a ieri, 30 ottobre, quando ha spiegato di non avere alcuna intenzione di sedersi in Assemblea capitolina e di guidare l’opposizione di Centrodestra. Centosettantaquattro giorni, tanto è durata la parabola, forse meglio dire la meteora, politica di Enrico Michetti. L’avvocato-tribuno, titolo che ha sempre rivendicato nonostante il suo staff gli consigliasse il contrario, vuole tornare alla sua vita precedente. Intanto la radio, perché dal 15 novembre sono pronti a riaccoglierlo gli amici di Radio Radio, l’emittente romana dove il nostro - in una striscia quotidiana alle 7 del mattino e nel contenitore pomeridiano del mercoledì - pontifica un po’ su tutto lo scibile umano.

Parole dette in passato che - come la gaffe sulla Shoah - sono risultate un boomerang. Soprattutto una vita precedente dove la politica è - nel senso più alto del termine - un datore di lavoro: consulente o legale, nei panni di avvocato amministrativista, di svariate giunte comunali e regionali di destra e sinistra. Non a caso Giorgia Meloni, leader di FdI che l’ha voluto candidato anche contro i dubbi della coalizione, era solita ricordare in campagna elettorale: «Michetti ha fatto consulenze a 840 sindaci di sinistra nella sua carriera.

Se è un incapace, cosa sono i sindaci di sinistra che lo chiamavano?». Ora, si maligna, proprio la necessità di essere richiamato dagli stessi sindaci - tra questi Orlando Pocci, primo cittadino molto a sinistra di Velletri - ha contribuito a rendere incompatibile il suo ruolo di consigliere e quello di amministrativista.

 

L’UFFICIALIZZAZIONE

Venerdì sera Michetti ha inviato una Pec al Segretariato generale di Roma Capitale per annunciare che avrebbe rinunciato allo scranno in Assemblea capitolina garantito dalla legge a ogni candidato sindaco collegato a una lista in grado di portare a casa almeno un eletto. Mai nessuno dei perdenti al ballottaggio l’aveva fatto. Al suo posto entrerà il primo dei non eletti di FdI: Federico Rocca, fedelissimo di Meloni. Nella stessa giornata avrebbe comunicato la cosa anche alla leader di FdI, ma non agli altri partiti della coalizione. E ieri mattina ecco una laconica nota dettata alle agenzie: «Ho deciso di dimettermi dalla carica di consigliere comunale perché forte è la consapevolezza dell’importanza di voler continuare ad assicurare la formazione, l’aggiornamento e l’assistenza ad amministratori e funzionari pubblici».

Per aggiungere: «Un contributo civico indubbiamente superiore rispetto a quanto potrei garantire se assumessi il ruolo politico di consigliere di opposizione. Ci tengo a ringraziare chi mi ha sostenuto. Resterò a disposizione di Roma Capitale». Parole che hanno finito soltanto per riaprire le ferite nel Centrodestra romano, ancora scosso per aver perso al ballottaggio il Campidoglio con meno del 40 per cento. E si è vinto in un solo Municipio. Ma anche per una campagna elettorale dove Michetti - scelto dopo i no di Guido Bertolaso, Andrea Abodi o Francesco Rocca - non ha mai attaccato gli avversari, ci ha messo un mese per abbandonare una retorica tutta incentrata sull’Antica Roma o sulla romanità e ha finito - spesso su consiglio dello staff parallelo degli amici di Radio Radio - per disertare i confronti.

«È una decisione che ci sorprende e che francamente non ci pare rispettosa degli elettori e delle forze politiche che gli sono state accanto», ha tuonato Maurizio Gasparri (Forza Italia). «Non si può essere credibili se dopo aver perso una battaglia ci si ritira», ha aggiunto dalla Lega Barbara Saltamartini. «Un po’ mi dispiace, ma io non lascio», ha sottolineato Simonetta Matone, sua prosindaca in caso di vittoria. Comprensione solo da Fratelli d’Italia. «La scelta di tornare a esercitare la sua attività professionale a tempo pieno - ha notato Francesco Lollobrigida - e di assistere migliaia di amministratori, rinunciando ad una poltrona, è un indubbio segno di coerenza e serietà».

Anche se dentro FdI Fabio Rampelli parla di «decisione non concordata con alcuno di noi della Federazione romana, artefici di una battaglia senza risparmio in suo sostegno, e inopportuna per il danno che si sarebbe arrecato alla credibilità dell’intera coalizione». Durante la campagna elettorale Michetti soltanto una volta ha detto che sarebbe rimasto in consiglio. La sera del 18 ottobre, alla conferenza stampa dopo la sconfitta al ballottaggio, si alzò, senza rispondere, quando i giornalisti gli chiesero del suo futuro. Da allora alcuni esponenti del Centrodestra gli avevano chiesto di fare subito chiarezza.

Chi lo conosce, parla di «una decisione sofferta, maturata dopo un lungo ragionamento». Ma era una decisione scontata. Anche perché siede, nominato dal Veneto, nel commissione Trasparenza del comitato di Milano Cortina 2026. Carlo Calenda (anche il candidato di Azione si dimetterà dall’Aula Giulio Cesare, ma dopo la prima seduta) ha parlato in passato di rapporti del tribuno con la Regione Lazio targata Zingaretti, facendo sapere che avrebbe appoggiato lo sfidante Gualtieri alle Europee del 2019. Notizie smentite, ma raccontano dal suo comitato: «Non ci ha mai permesso di fare post contro il governatore o altri avversari».
 

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