Marino e il caso scontrini: «Le accuse erano infondate»

Marino e il caso scontrini: «Le accuse erano infondate»
di Giuseppe Scarpa
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Giovedì 16 Maggio 2019, 10:27 - Ultimo aggiornamento: 10:28

«Infondatezza dell'ipotesi accusatoria». Si chiude definitivamente il capitolo giudiziario sul caso scontrini con il deposito delle motivazioni dei giudici della Cassazione. Ignazio Marino l'ex sindaco di Roma, costretto alle dimissioni l'otto ottobre del 2015 anche a causa degli strascichi politici generati da questa inchiesta, può definitivamente tirare un sospiro di sollievo. Il chirurgo dem era stato accusato dalla procura di aver utilizzato la carte di credito in dotazione al primo cittadino con eccessiva disinvoltura.

In 52 occasioni, tra l'agosto del 2013 e il giugno del 2015, avrebbe offerto cene ad amici e parenti in vari ristoranti della Capitale e altre città d'Italia, incassando per questo motivo un'imputazione per peculato. Inoltre, in seconda battuta, da qui il reato di falso, l'allora inquilino di palazzo Senatorio avrebbe imposto ai suoi collaboratori di modificare i giustificativi di spesa per accreditare una natura istituzionale agli incontri. Questa l'ipotesi accusatoria. Un impianto però che non ha retto di fronte alla Cassazione. Nelle motivazioni i magistrati scrivono che «non è configurabile il peculato nel caso in cui non sia fornita giustificazione in ordine al contributo erogato per l'esercizio delle funzioni di natura pubblicistica».«L'illiceità della spesa» non può essere fatta derivare «da tale mancanza», ma occorre comunque «piena prova dell'appropriazione e dell'offensività della condotta, quanto meno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione».

In questo modo gli Ermellini spiegano perché, il 9 aprile scorso, decisero di assolvere, «perché il fatto non sussiste», l'ex sindaco. In secondo grado, l'11 gennaio 2018, i giudici lo avevano condannato a due anni. Marino era stato invece assolto in primo grado.

LE MOTIVAZIONI
Nella sentenza depositata ieri, la sesta sezione penale del Palazzaccio' evidenzia che i «giustificativi delle spese erano stati presentati» ma che la Corte d'Appello, «con una motivazione inadeguata» li aveva ritenuti «falsi». I giudici di piazza Cavour osservano che, «ad eccezione di due soli di quei documenti, per i quali era stata accertata una difformità nell'indicazione della qualifica commensale del sindaco, casi nei quali l'imputato aveva convincentemente spiegato essersi trattato di imprecisioni commesse dai suoi collaboratori nella compilazione di documenti». Inoltre, proseguono i giudici, in tutti i giustificativi di spesa «vi erano annotazioni che potevano collegare ciascuno di quegli incontri conviviali ad altrettanti eventi, svoltisi nella stessa giornata ai quali Marino aveva partecipato nella veste di sindaco».

Con un «riscontro soggettivo», inoltre, relativo a 4 casi contestati, «era stato possibile appurare che Marino aveva cenato con rappresentanti di altre istituzioni per discutere di questioni attinenti alla città di Roma», rileva la Cassazione, affermando che si tratta di «situazioni nelle quali vi era più di una mera presunzione in ordine alla natura pubblicistica di quelle spese». Marino, soddisfatto per la definitiva assoluzione, spiega che «l'esposto di FdI e M5S denunciavano un fatto che semplicemente non sussiste». Quanto agli ex compagni di partito, l'ex sindaco sottolinea che rimangono «aperte le motivazioni che hanno portato i consiglieri del Pd a recarsi da un notaio per interrompere il cambiamento che si stava realizzando a Roma». 

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