Bonomi: «Così Roma può rilanciare l'economia del nostro Paese»

Bonomi: «Così Roma può rilanciare l'economia del nostro Paese»
di Massimo Martinelli
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Martedì 1 Giugno 2021, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 14:14

È la Capitale del mio paese, io ne sono innamorato». Sentire parlare di Roma Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e già - per anni - presidente degli industriali lombardi, fa un bell’effetto. E non solo dal punto di vista delle suggestioni. Ieri Bonomi era a Roma, nella platea ristretta che ha assistito alla relazione del Governatore della Banca d’Italia, Visco, sulle possibilità di ripresa del Paese. Che esistono e sono concrete.

Il sindaco di Roma/ Il profilo che occorre per guidare la rinascita

E a Roma, presidente Bonomi, basterà la vetrina del Giubileo per riprendersi?

«Quando ero presidente di Assolombarda, quattro anni fa, quindi in tempi non sospetti, dicevo già che il futuro del Paese si giocava sulla ripresa di Roma. Che è un brand unico al mondo, è l’immagine dell’Italia ovunque. Quella dei prossimi anni è una partita fondamentale, perché Roma è essenziale per trainare anche il Mezzogiorno. Qui si gioca una partita per il futuro del paese. Se penso ai due grandi eventi dei prossimi anni, il Giubileo 2025 e il bimillenario della crocifissione di Cristo nel 2033, penso che tutto il mondo starà a guardarci».

Cosa bisognerebbe fare?

«Dobbiamo pensare a grandi opere per Roma, dalla tramvia dal Vaticano a Termini al ponte autostradale in cui si blocca il traffico in entrata a Roma arrivando da Fiumicino.

Sono opere che vanno cantierizzate subito per il 2025 utilizzando i fondi del Pnrr, perché sono finalizzate alla riuscita di eventi che hanno già dimostrato di produrre Pil non solo per Roma ma per tutta l’Italia. Ricordo che il Giubileo del 2000 ha creato quattro anni di crescita del Pil per l’intero Paese, perché ha portato 30 milioni di fedeli in 12-14 mesi, che non si sono fermati a Roma, ma hanno visitato le città d’arte: Firenze, Perugia, Venezia, Pompei; e poi sono andati in costiera amalfitana e altrove. Ecco perché devono essere creati circuiti attrattivi dei flussi turistici, ecco perché è importante creare una piattaforma per gestire questi flussi. Si tratta di eventi che raddoppiano la popolazione della Capitale per un anno intero. Serve una grande piattaforma digitale per gestire tutti questi servizi e le emergenze, che resti in eredità per la gestione delle necessità pubbliche per tutti i cittadini». 

Roma può reggere l’urto?

«Qui si tratta di ripensare le città, di ripensare le infrastrutture: i pellegrini non arriveranno solo all’aeroporto di Fiumicino, è impensabile che lo scalo possa gestire da solo un flusso così alto quindi bisogna pensare ad un sistema aeroportuale, in cui deve essere coinvolta anche Civitavecchia, con il porto marittimo. E ci vorrà l’alta velocità per collegare le città d’arte».

Il sindaco che dovrà gestire tutto questo ancora non è stato scelto dai romani. Che profilo dovrebbe avere?

«Io non voglio fare una descrizione politica. Io credo che il futuro sindaco di Roma debba avere un ruolo, una valenza che vada oltre l’essere un semplice sindaco, seppure di una grande metropoli, un colosso come Roma. Io credo che però la Capitale debba rivedere quello che è il suo impianto di regole amministrative. Tutte le grandi capitali europee hanno un impianto di regole completamente diverso: Parigi, Madrid Londra, Berlino sono delle città Stato con regolamenti diversi perché hanno esigenze diverse. Quindi ci vuole un sindaco che abbia grande visione, capacità di gestione di una macchina amministrativa complessa, che abbia capacità manageriali, con grande visione sui temi del futuro e delle disuguaglianze. Deve saper interpretare queste dinamiche e dare delle risposte».
 

Parliamo di altro. Ieri a Taranto un tribunale ha condannato alcuni esponenti della famiglia Riva e ha confiscato alcuni impianti Ilva. Che succederà alla città e ai lavoratori?

«Mi viene ancora in mente Roma. A Taranto come nella Capitale bisogna spezzare la spirale di sfiducia che si è creata negli anni. Il Governatore Visco, proprio ieri, nella sua relazione ha parlato di “fallimenti di Stato”, che non è un passaggio banale detto da un Governatore di Bankitalia. Ora: qual è il perimetro di intervento dello Stato nell’economia? La vicenda Ilva si colloca in questa cornice: non c’è un paese al mondo che chiuda una fondamentale attività tecnologica o un intero settore produttivo se non attraverso una valutazione di costi e benefici complessivi e che, non facendo questo, la chiuda per via giudiziale. Credo che la politica abbia commesso degli errori, perché se per un decennio non si è trovata una soluzione alla questione dell’Ilva allora bisogna porsi una domanda: l’indotto dell’acciaio a caldo ci serve o no? Io credo che ci serva. È fondamentale per le nostre filiere. Ma la politica dal 2012 non l’ha capito. Ed ecco dove siamo arrivati. Perché dal 2012 la gestione non è più dei privati, ma è pubblica».

Effettivamente, come a Taranto, anche a Roma la politica nazionale sembra girarsi dall’altra parte. Succede anche altrove?

«Mi viene in mente la direttiva Sup».

Cos’è?

«La direttiva europea sulla plastica. Le linee guida espandono in maniera sproporzionata l’ambito di applicazione della definizione di plastica, inserendo una serie di prodotti tra cui anche quelli di carta definendoli genericamente come plastica».
 

Ci sono conseguenze?

«Certo. Si mette in ginocchio un’intera filiera, importantissima per l’industria italiana. Pensi che in quel settore noi rappresentiamo il 35 per cento del mercato europeo. E dalla politica c’è un silenzio assordante. Per la verità gli unici che si sono impegnati molto sono i ministri Di Maio e Giorgetti, ai quali sono riconoscente. Ma in un momento in cui si parla del blocco dei licenziamenti, mentre in Italia nel primo trimestre ci sono stati 130mila occupati in più segno che le imprese sono tornate a investire, dall’altra parte una direttiva europea chiude un comparto intero decidendo di lasciare a casa migliaia di lavoratori italiani. E io non vedo una reazione decisa, forte coesa della politica, dei sindacati, del mondo imprenditoriale. Sembra che siamo solo noi a difendere le nostre imprese del packaging e i loro occupati che sono un’eccellenza mondiale».
 

Lei ha parlato di blocco dei licenziamenti. Come giudica l’intervento del governatore Visco su questo tema?

«Il Governatore Visco ha detto che il blocco dei licenziamenti va superato . A tal proposito ci riconosciamo nella mediazione che il presidente del Consiglio Draghi ha operato nei giorni scorsi».
 

Tre giorni fa, dalle colonne di questo giornale, il presidente del Parlamento europeo, Sassoli, ha lanciato la proposta di un altro Recovery. Che ne pensa?

«Non abbiamo ancora fatto partire il primo, intanto facciamo partire questo in maniera forte ed efficace. E, lo ha detto anche Visco, questo Recovery riuscirà a produrre i suoi effetti solo se faremo una serie di riforme, sulla Pubblica amministrazione, sulla giustizia, sul fisco, sugli ammortizzatori sociali, sulle politiche del lavoro. Sono 47 riforme essenziali. Allora io credo che prima si debbano fare le riforme e poi si potrà eventualmente pensare ad uno strumento permanente. Prima iniziamo a far funzionare quello che c’è, perché non vorrei che questo richiamo al nuovo Recovery ci distogliesse dal problema del debito pubblico che è al 160% del Pil, e rimarrà tale per molti anni. Se non vogliamo esporci di nuovo a grandi rischi, abbiamo bisogno di una crescita strutturale per rispondere a questo debito e per crescere dobbiamo completare le riforme».
 

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