Niente più vodka, caipiroska o moscow mule a Roma. Bandite, nei bar e nei ristoranti, anche tartine di caviale e semechki, i semi di girasole a detta dei gourmet più saporiti di patatine e salatini, ma meno calorici. In segno di solidarietà verso l’Ucraina e in spregio a tutte le guerre, gli esercenti romani si apprestano a mettere al bando tutti i prodotti importati dalla Russia. Iniziando dalla somministrazione di cibo e bevande.
A portare avanti questa campagna è il leader della Fipe-Confcommercio capitolina, la prima sigla del comparto, Sergio Paolantoni: «Domani chiederò prima al consiglio romano della Fipe e poi a quello di Confcommercio che tutti i nostri iscritti sospendessero, oltre alla somministrazione, la vendita di tutti i prodotti di provenienza russa.
IL GIRO D’AFFARI
Tra Roma e provincia si bevono ogni anno quasi 400mila litri di vodka, di buona e minore qualità. Per un giro d’affari al netto di Iva e accise di 3,5 milioni di euro annui. Un tempo quello russo era il white spirit più richiesto nei bar e ristoranti, ma negli gli ultimi anni paga la concorrenza di gin e tequila. Mentre vale circa il triplo - comprendendo anche il grano - tutto l’export alimentare della Russia. Rispetto ad altre Capitale, a Roma sono ancora pochi i locali che hanno messo al bando caipiroska e moscow mule, ma in alcuni bar dietro piazza Navona, del Pigneto o di Monti i barman preferiscono usare per questi cocktail vodka polacca. Così il caso più eclatante di boicottaggio è quello della ditta Bernabei, uno dei principali distributori di alcool a livello italiano e non solo romano. «Ho due figli più grandi, una di 22 mesi e mia moglie è incinta. Quando vedo certe scene della guerra in Ucraina mi si rivoltano le budella», spiega Paolo Bernabei, uno dei titolare e direttore marketing dell’impresa.
Sulle vetrine dei tre negozi romani è stato affisso un cartello, che recita: «Condanniamo inequivocabilmente l’azione militare in Ucraina e comunichiamo di aver rimosso con effetto immediato la vendita di tutti gli alcolici di fabbricazione russa». Di più è stata anche coperta l’insegna luminosa, voluta dal fondatore negli anni Sessanta, con il nome della Stolichnaya, una delle migliori al mondo. «Per noi la vodka russa vale un giro d’affari di quasi 600mila euro all’anno. Ma di fronte a certe cose non ci sono soldi che tengano. Qualcuno dei nostri clienti si è lamentato, ma non ci interessa affatto. Per la verità, neanche se venisse Putin cambieremo idea. Anzi, vorrei che anche i produttori di birra e di pasta boicottassero luppolo e grano russo. Io sono pronto a chiamare l’ambasciata russa e offrire le mie conoscenze per aiutare l’Ucraina a lanciare un brand loro di vodka».