Villa Fassini, un gioiello d'epoca a Casalbruciato: dai Baroni ai Patti Lateranensi

Villa Fassini, un gioiello d'epoca a Casalbruciato: dai Baroni ai Patti Lateranensi
di Lucilla Quaglia
4 Minuti di Lettura
Giovedì 7 Novembre 2019, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 16:32

A Casalbruciato, in piena periferia romana, esiste un gioiello architettonico che vanta una notevole storia. Villa Fassini, dimora dei baroni Fassini. O meglio di Alberto Fassini Camossi, imprenditore eclettico originario di Moncalvo (Alessandria), che alla fine degli anni Venti, grazie all’arte e all’estro suo e dell’ingegnere Arturo Hoerner, decise di creare qui una delle sue residenze romane per via della vicinanza con la stazione Termini. Possedendo infatti interessi anche in altre regioni italiane, i suoi spostamenti erano frequenti. Era una visione di Roma completamente diversa da quella odierna.
 

 



In questa bellissima dimora di duemila metri quadrati e otto ettari di parco, oggi sede della Pavimental, trovò sistemazione buona parte della sua ricca collezione d’arte che vantava Rubens, van Dyck, Goya, Perugino e Balla e poi statue, marmi e bronzi.

La villa, che ancora oggi mostra grandi finestre che si affacciano sul bel parco circostante, prese vita da un casale che inizialmente fungeva da casino per la caccia alla volpe. In seguito diventò la grande residenza, con una serie di edifici annessi al corpo principale, immersi in un vasto parco ricavato in una sterile steppa malsana trasformata in ridente e salubre tenuta modello.

Qui Fassini organizzò varie attività: dalla coltivazione di orchidee a laboratori artigianali creando anche una sorta di colonia rurale con cappella, dove si diceva messa anche per i contadini, asilo e scuola. L’aristocratico proprietario si avvalse, tra il 1925 e il 1928, del contributo di Hoerner per i progetti d’impianto del parco, ancora oggi considerato protetto e con piante catalogate tra cui uno splendido canneto, ma anche per i fabbricati di servizio, casali, serre, centri colonici. Nel parco cani e cavalli erano tenuti in libertà e c’era una grande vasca di irrigazione adibita dai Fassini a piscina.

L’idea era avere un punto di rappresentanza per accogliere politici, imprenditori ma anche artisti come D’Annunzio, con cui il barone condivideva una casa a via Rasella, e poi Francesca Bertini e tante altre dame illustri. Visto che il barone, dal carattere fumantino, era un vero tombeur de femmes. Inoltre il poliedrico Fassini si occupò per molto tempo anche di cinema, in qualità di produttore.

Una casa di rappresentanza dove il proprietario, che preferiva gli alberghi, però non viveva. Ad un certo punto, invece, decise di stabilirsi nella dépendance: la villa principale era troppo grande.
Morto il creatore della magione, nel 1942, la villa fu abitata dalla figlia del barone, Maria Fassini, e dai nipoti. Veniva affittata anche dal cinema. Qui girò perfino Totò. Fino ai primi anni Sessanta, quando la proprietà fu venduta ad Alvaro Marchini, padre dell’attrice Simona Marchini.

La vita in villa, per via di un quartiere sempre più preda della criminalità, era diventata per i discendenti del barone invivibile. Si dormiva con le armi a portata di mano. Quindi la partenza, dolorosa, della famiglia, che oggi non possiede più un erede diretto del titolo.

Villa Fassini, che un tempo dava il nome anche alla via laterale (oggi via Raffaele Calzini) attualmente appare dall’esterno praticamente immutata, a parte un’ampia scala laterale nel retro della costruzione, che immetteva al primo piano, oggi scomparsa. Si vede ancora la porta di accesso alle cucine, nel piano ammezzato, con un ascensore che allora portava le pietanze ai piani alti.

Diverso per gli interni, dove una volta c’erano arredi d’epoca, pareti rosse, salotti damascati, lampadari di vetro di Murano, camini in peperino e perfino il tavolo in noce dove Mussolini iniziò a trattare i Patti Lateranensi, con tanto di dedica.
Si transitava lungo il salotto blu, il salotto rosso, la sala d’arte, il soggiorno. Una dimora molto sontuosa e ricca. Poi, al piano terra, una scala scendeva fino alle cantine. Qui si proseguiva attraverso delle fungaie che si diceva arrivassero fino a San Lorenzo. Una serie di bellezze e misteri, in un luogo decisamente insospettabile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA