No vax Roma, aggressioni e tensione agli hub. Laurenti (Gemelli): «A volte persone violente, vogliamo più vigilanza»

Patrizia Laurenti, responsabile del Centro vaccinale covid 19 del Policlinico Gemelli di Roma non nasconde un po’ di scoramento

Roma, aggressioni e tensione agli hub. Laurenti (Gemelli): «A volte persone violente, vogliamo più vigilanza»
di Graziella Melina
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Sabato 4 Dicembre 2021, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 21:53

«Siamo davvero molto stanchi. Quelli che si vengono a vaccinare per la prima volta per poter aver il green pass arrivano arrabbiatissimi. E poi se la prendono con noi. Proprio l’altro ieri abbiamo dovuto chiamare la vigilanza». Da quando è iniziata la pandemia, Patrizia Laurenti, responsabile del Centro vaccinale covid 19 del Policlinico Gemelli di Roma, di persone da vaccinare ne ha viste a migliaia. E di sicuro ad affrontare turni faticosi e a stare sotto pressione è ben allenata. Eppure, stavolta non nasconde un po’ di scoramento.

Partiamo dai numeri. Quante prime dosi avete fatto?

«Da quando è diventato obbligatorio il green pass, il nostro piccolo hub al Gemelli ha fatto quasi duemila dosi, vuol dire in sostanza duemila persone sono state protette.

Ma è chiaro che il grande successo in questo momento ce l’hanno le terze dosi, che rappresentano quasi il 75 per cento della nostra attività quotidiana».

Chi sono i ‘ritardatari’ della vaccinazione anticovid?

«Ci sono diverse tipologie di persone. In genere, sono soggetti che hanno paura della profilassi per svariati motivi. Per esempio, ci sono quelli che hanno sempre rimandato, pensando di farsi bastare le altre misure di sicurezza. Poi vengono persone che hanno oggettivi problemi di salute e che non sono state vaccinate nei grandi hub, dove può essere difficile il counselling per situazioni che richiedono molto tempo. Mi riferisco per esempio agli allergici, o a quelli che hanno avuto degli shock anafilattici, e che debbono essere accompagnati con percorsi di valutazione allergologica e premedicazione. E poi vengono i più pericolosi, gli arrabbiati».

Gli arrabbiati?

«Sì, sono persone che quando arrivano sono molto aggressive, per cui a volte ci sono anche timori che se la prendano con noi e che dalle parole passino ai fatti».

In che senso?

«È accaduto spesso che siamo stati oggetto di aggressione, per ora solo verbale. In quelle situazioni, diventa davvero difficile mantenere la calma. Siamo stanchi, è da un anno che stiamo lavorando a questi ritmi, e adesso è come se dovessimo in qualche modo ricominciare daccapo. Lo facciamo perché è importante, però davvero siamo stanchi».

 

Ma perché se la prendono con voi?

«Noi siamo quelli che stiamo in trincea. Quindi, siamo le persone che incontrano quando si vengono a vaccinare e sulle quali pensano di poter in qualche modo riversare la loro arrabbiatura. Non comprendono che invece noi siamo lì per il loro bene, poi alla fine. O no?».

Ma chi li ha convinti a venire?

«Lo fanno per il green pass. E sono arrabbiati perché si sentono obbligati a vaccinarsi, altrimenti sono esclusi dalla vita sociale. Invece io rivolterei la prospettiva, devono essere grati perché questo strumento permette loro di riprendere in mano la loro vita».

Quindi si vaccinano per poter lavorare?

«Certamente. Come sappiamo c’è l’obbligo per gli operatori sanitari. Ma adesso per esempio anche gli amministrativi che lavorano nelle strutture sanitarie si debbono vaccinare».

Che tipo di persone sono quelli più ‘arrabbiati’?

«Sono di diversa tipologia, ci sono sia persone che hanno un buon livello culturale, ma anche persone un po’ più semplici. Hanno tra i 50 e i 60 anni, e sono sia maschi che femmine. Anche ieri, per esempio, ne sono arrivati due, tre molto problematici…».

Come se lo spiega?

«Alcuni sono ipocondriaci, altri sono in difficoltà, sono in preda all’ansia. Quando sfoglio le anamnesi mi accorgo dai farmaci che assumono che sono purtroppo persone ansiose, e l’ansia è stata acuita durante questi due anni di pandemia».

Ma poi vanno via tranquilli?

«Dipende. Alcuni continuano ad andare via arrabbiati. Proprio l’altro ieri abbiamo dovuto chiamare la vigilanza, perché poi quando c’è il rischio di aggressione verbale non riusciamo a gestirli».

Ma era successo qualcosa?

«Avevano travisato le nostre raccomandazioni, ci hanno accusato di non valutare con attenzione la loro situazione di salute».

In sostanza volevano l’esonero…

«Certo. Purtroppo ci sono anche quelli. Ma la legge è chiara rispetto a chi ne ha diritto. E invece ci sono persone che pretendono l’esonero quando invece per la patologia di cui sono portatori sono quelli che hanno la priorità alla vaccinazione o addirittura alla dose booster. Rivoltano proprio la loro prospettiva. E lì è pure faticoso fargli capire che il punto di vista deve essere completamente rovesciato».

Teme che la situazione un giorno o l’altro possa degenerare?

«Può accadere, infatti abbiamo richiesto una maggiore attenzione da parte dei servizi di vigilanza. Abbiamo affisso la cartellonistica della segnaletica che ricorda che le aggressioni al personale sanitario sono un reato».

Siete stanchi…?

«Abbastanza. Ci sforziamo di continuare con lo spirito di sempre. Adesso, per fortuna, sono state un po’ rinforzate le risorse degli hub vaccinali, quindi ci sono operatori nuovi, ci stiamo un po’ riallineando. Però, la sofferenza del personale è un problema reale. Ma noi continuiamo a vaccinare, come sempre, perché sappiamo che è importante farlo».

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