Confusione aziendale, ambiguità contabili e montagne di soldi spostate in modo irregolare per pagare i debiti. Il risultato: un buco milionario nelle casse della municipalizzata dei rifiuti, già in enorme deficit. Per le anomalie nella riscossione della Tari, la tassa sui rifiuti, la Corte dei conti ha calcolato un danno erariale che supera i 5,4 milioni di euro. Cifra che ora viene chiesta indietro a 31 indagati, tra ex vertici del Comune di Roma - compreso un ex sindaco - e dell'Ama: si va da Gianni Alemanno e Franco Panzironi, fino a Daniele Fortini e Lorenzo Bagnacani.
Mentre i conti della municipalizzata erano più in rosso che mai, centinaia di milioni di euro sarebbero state messe a bilancio in modo illegittimo.
Il pagamento
Nonostante questo meccanismo, l'Ama non è riuscita a risanare le sue finanze e ha dovuto chiedere un finanziamento a un pool di banche per la gestione ordinaria. La conseguenza è stata «una grandissima confusione dei dati e flussi contabili», scrivono i magistrati, oltre al danno da interessi «inutilmente corrisposti»: considerando solo i tre anni oggetto dell'inchiesta - 2016, 2017, 2018 - si arriva a 5.409.215 euro. Ama e Campidoglio, per l'accusa, hanno «perso il controllo contabile del tributo, consegnando alle banche la gestione della Tari», cioè di una tassa pubblica.
Per i pm contabili è emersa una «colpa gravissima» dei vertici della Ragioneria generale di Roma Capitale dal 2010 al 2018, e del sindaco, Gianni Alemanno, che ha firmato il 23 dicembre 2009 una «lettera di patronage» con le banche, dichiarando «di essere a conoscenza dei finanziamenti richiesti da Ama e delle stringenti e vincolanti previsioni del contratto di finanziamento». Poi ci sono gli amministratori della municipalizzata: oltre a Panzironi e Bagnacani, ci sono gli ex presidenti Marco Clarke e Piergiorgio Benvenuti, l'ex ad Salvatore Cappello, gli ex componenti del cda Giuseppe Berti, Teresa Fasoli, gli ex amministratori unici Alessandro Solidoro e Antonella Giglio, solo per citarne alcuni.
La mancata raccolta
Non è l'unica grana per la municipalizzata. La Procura ha firmato una richiesta di rinvio a giudizio per la mancata raccolta delle utenze non domestiche: sotto accusa, tre dirigenti Ama e due della società Multiservizi, che aveva vinto l'appalto per raccogliere l'immondizia di locali e negozi nelle zone centrali. L'accusa è inadempimento nelle pubbliche forniture: nonostante i netturbini confermassero tramite un badge l'avvenuta raccolta, i sacchi dell'immondizia venivano lasciati sui marciapiedi o davanti ai negozi chiusi. Nonostante questo, per l'accusa, Ama avrebbe continuato a pagare per il servizio. In realtà, la municipalizzata ha fatto sapere di avere disposto penali: «A fronte delle inadempienze, Ama ha addebitato i costi alla società aggiudicataria dell'appalto. La municipalizzata è parte offesa», ha dichiarato l'avvocato Salvatore Sciullo, penalista che assiste i tre dirigenti dell'azienda comunale.