Il Tar del Lazio bacchetta i dirigenti della pubblica amministrazione: «Hanno paura di firmare»

Il Tar del Lazio bacchetta i dirigenti della pubblica amministrazione: «Hanno paura di firmare»
di Valentina Errante
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Mercoledì 24 Febbraio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 03:30

Dagli appalti pubblici alle questioni di rilievo costituzionale, come quella sul referendum per il taglio dei parlamentari, e ancora i giudizi sui provvedimenti del Csm, sulle decisioni delle Authority e in materia di salute pubblica e del patrimonio culturale e paesaggistico. All’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tar del Lazio, il presidente Antonio Savo Amodio ripercorre un anno anomalo e difficile anche per la giustizia amministrativa chiamata a pronunciarsi anche sui tanti ricorsi proposti contro le misure del governo in materia di contenimento. I numeri del Tar del Lazio, che, comunque, nel 2020, ha visto diminuire dell’8 per cento le sentenze, sono in attivo. Nella relazione, però, Savo Amodio ha bacchettato anche la pubblica amministrazione, sottolineando ancora una volta l’impegno del Tribunale nel far fronte alle lentezze e alla paralisi delle amministrazioni, dovuta alla cosiddetta “paura della firma” da parte dei funzionari, circostanze che alimentano i contenziosi. 


PAURA DELLA FIRMA


Savo Amodio ha fatto esplicito riferimento ai fattori che alimentano «in maniera distorta il contenzioso» e li illustrati nella sua relazione: «Innanzi tutto, l’inefficienza, talvolta spinta fino all’inattività, della pubblica amministrazione, che preferisce demandare al giudice decisioni che pure istituzionalmente le competono. Emblematica in tal senso - ha sottolineato Savo Amodio - è la definizione del fenomeno - “paura della firma” - coniata dalla dottrina e riferita ai funzionari pubblici che sono chiamati ad assumere le decisioni amministrative e che si astengono dal farlo. Altro elemento che incide sul volume del contenzioso è certamente l’eccessiva domanda di giustizia - ha proseguito - originata, oltre che dall’inefficienza anzidetta, dall’inesistenza di opportuni strumenti deflattivi».


LE CIFRE 


Nel corso del 2020, malgrado la diminuzione di circa l’8 per cento del numero delle sentenze emanate, a causa della soppressione di numerose udienze durante il lockdown il rapporto tra il totale dei giudizi definiti (15.087) e quello dei ricorsi presentati nell’anno (11.627) ha fatto registrare un saldo attivo pari a 1,29. «Di conseguenza - ha spiega Savo Amodio - si è avuta un’ulteriore diminuzione, nella misura del 7 per cento, dell’arretrato».

Un anno diverso dagli altri, durante il quale, i giudizi monocratici emessi, unico strumento previsto dalla normativa emergenziale durante i mesi di marzo e aprile, hanno avuto un aumento del 15 per cento rispetto al 2019. Il tempo medio di definizione dei ricorsi, si legge nella relazione, è di poco più di 3 anni (1.117 giorni) «una variazione di circa 6 mesi in più rispetto al 2019, dovuta al rallentamento dell’attività decisionale imposto dall’emergenza sanitaria».


I DPCM


Tanti i ricorsi presentati contro le misure e le restrizioni previste dai decreti della presidenza del Consiglio. Ha sottolineato il presidente: «Due sono le particolari implicazioni processuali riscontrate in ordine a tali impugnative: la loro appartenenza alla sfera della cosiddetta alta amministrazione, che ha reso oltremodo delicata la ricerca del punto di equilibrio tra effettività della tutela giurisdizionale e rispetto dei limiti della discrezionalità amministrativa; e il rapido succedersi di tali decreti, sempre ad efficacia temporanea». Circostanze che in molte occasioni, hanno reso impossibile assumere in tempo utile decisioni collegiali, sia pure di natura cautelare. «Pertanto - si legge nella relazione - per assicurare il necessario approfondimento delle questioni agitate e per garantire il contraddittorio processuale, la decisione presidenziale, nei casi particolarmente complessi o più delicati, è stata preceduta dall’interlocuzione con i difensori delle parti».
 

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