«Stefano Cucchi, fu un omicidio». Cassazione: due carabinieri condannati a 12 anni, processo bis per altri due

Ridotta la pena per Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro. Ci sarà un nuovo processo di appello invece per i due carabinieri accusati di falso

Stefano Cucchi, sentenza Cassazione
di Valentina Errante
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Lunedì 4 Aprile 2022, 21:01 - Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 10:03

La Cassazione conferma: Stefano Cucchi è stato pestato in caserma ed è morto per le botte di due carabinieri: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro condannati definitivamente a 12 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. Per loro, adesso, si aprono le porte del carcere: Di Bernardo si è già presentato in caserma a Isernia, mentre il legale di D’Alessandro annuncia che il suo assistito non «si sottrarrà alle sue responsabilità». Si conclude così una vicenda giudiziaria cominciata nel 2009, dopo che il geometra romano di 31 anni, arrestato per spaccio il 15 ottobre al Parco degli Acquedotti, chiuse per sempre gli occhi, una settimana dopo, nel reparto riservato ai detenuti dell’ospedale Pertini. Sette processi, due inchieste, parallele, una terza sui medici e una quarta sui presunti depistaggi. E la quinta sezione penale della Cassazione ha stabilito che ci sarà ancora un processo di appello bis per gli altri due militari, Roberto Mandolini, che era stato condannato a quattro anni di reclusione, e Francesco Tedesco, che alla fine aveva ammesso il pestaggio collaborando con la procura ed era stato condannato a due anni e mezzo di carcere. Entrambi sono accusati di falso per avere coperto i colleghi, ma i reati, a questo punto, potrebbero andare in prescrizione. È l’ultimo capitolo, integralmente riscritto dal pm Giovanni Musarò che, dopo l’assoluzione degli agenti penitenziari, nel 2015, aveva riaperto le indagini. 

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«Possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo - commenta Ilaria, che da 13 anni porta avanti una battaglia per la verità - possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via.

Il mio pensiero va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati, Fabio Anselmo e Stefano Maccioni, e un grande grazie al dottor Giovanni Musarò, che ci ha portato fin qui». E anche la mamma di Stefano ripete: «Giustizia è fatta». Ed è attesa per il prossimo 7 aprile la sentenza sui presunti depistaggi, successivi alla morte di Stefano. Processo che vede imputati altri 8 carabinieri. 

LA NOTA
«Siamo vicini alla famiglia Cucchi di cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere al nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico», recita la nota del Comando generale dei carabinieri. La sentenza, si legge, «ci addolora perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve sempre e comunque ispirare il proprio agire». 

L’UDIENZA
«Fu una via crucis notturna quella di Stefano Cucchi, portato da una stazione all’altra», aveva detto ieri mattina in aula il Pg della Cassazione Tomaso Epidendio, chiedendo la conferma delle condanne e un processo bis per Tedesco solo per il trattamento sanzionatorio. E aveva aggiunto: «Quella di Cucchi è stata una punizione corporale di straordinaria gravità, caratterizzata da una evidente mancanza di proporzione con l’atteggiamento non collaborativo». L’avvocato Fabio Anselmo prima della sentenza commentava: «È un momento di grande tensione che arriva dopo 150 udienze e 14 gradi di giudizio, 15 con questo. Speriamo che venga messa fine a una verità giudiziaria che ormai tutti sappiamo». Oltre alla famiglia, si sono costituiti parte civile il Comune e i tre gli agenti della penitenziaria accusati del pestaggio. Sono stati assolti fin dal primo grado ma non dimenticano.

LA RICOSTRUZIONE
Per Musarò, Stefano era stato picchiato nella caserma Casilina dove si era rifiutato di mettere le dita nell’inchiostro per le impronte digitali e aveva spintonato uno dei carabinieri. Era stato preso a schiaffi e, quando era caduto a terra, a calci. Le conseguenze del pestaggio, con la rottura di due vertebre, che ha portato a una vescica atonica, lo hanno condotto alla morte. Per gli imputati giudicati dalla Cassazione la sentenza della Corte d’Assise, era arrivata nel 2019 e poi, il 7 maggio scorso, l’appello. Per Di Bernardo e D’Alessandro, in secondo grado, la condanna era passata da 12 (la stessa stabilita ieri) a 13 anni, perché erano state escluse le attenuanti generiche riconosciute in primo grado. Per Mandolini si era passati da tre anni e otto mesi a quattro anni. Mentre era stata confermata la condanna per lo stesso reato a 2 anni e mezzo per Francesco Tedesco. 
 

 

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