Roma, sanità, il caso liste d’attesa: tempi più lunghi per le visite

Roma, sanità, il caso liste d’attesa: tempi più lunghi per le visite
di Fabio Rossi
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Venerdì 31 Gennaio 2020, 10:58
Spesso bisogna attendere più di due mesi per sottoporsi a Tac, risonanze magnetiche ed ecografie, con attese in aumento anche per le visite specialistiche. Se la sanità del Lazio sta finalmente uscendo da un commissariamento iniziato nel lontano 2008, restano sul tappeto i problemi più antichi: a partire dalle liste d’attesa, vero tallone d’Achille da almeno un paio di decenni, che nelle Asl regionali continuano a essere lunghe. I ritardi maggiori come sempre riguardano gli esami diagnostici, soprattutto quelli differibili (quindi non urgenti) ma, secondo un monitoraggio eseguito al Recup, la situazione rimane critica, in diversi casi, anche per quanto riguarda le visite specialistiche.
 
Secondo i dati disponibili restano frequenti gli esami che si svolgono oltre i tempi standard: 60 giorni per quelli non urgenti. In particolare è difficile sottoporsi, in tempi ragionevoli, a una Tac: in media superano i due mesi d’attesa quelle all’addome e al capo. Oltre questa soglia si va spesso anche per le risonanze magnetiche a cervello, tronco encefalico e colonna vertebrale, le colonscopie e alcuni tipi di ecografie.

Ancora insoddisfacenti anche le liste d’attesa per le visite specialistiche, pur con tempi più contenuti rispetto agli esami diagnostici: capita di dover attendere più di un mese per un consulto con un cardiologo, un gastroenterologo, un oculista o un ortopedico. L’inizio del 2020 vede una tendenza al peggioramento dei tempi di prenotazione al Recup in oltre il 50 per cento dei casi. Dalla Regione sono certi che l’uscita dal commissariamento servirà a migliorare anche quest’aspetto. «Quando va a fuoco una casa, come stava succedendo alla sanità del Lazio, per prima cosa pensi a spegnere l’incendio - ha detto l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, in un’intervista al Messaggero - Ora, anche grazie allo sblocco del turnover, possiamo proseguire nelle operazioni necessarie che devono ridurre le liste di attesa, potenziare la sanità sul territorio e alleggerire il peso del lavoro dei pronto soccorso». E l’opposizione di centrodestra incalza: «Per noi l’uscita dal commissariamento significa riduzione delle liste d’attesa, aumento dei posti letto, riqualificazioni delle strutture sanitarie, riduzioni delle addizionali Irpef e Irap più alte d’Italia», dicono da Fdi.

Tra gli aspetti negativi delle lunghe attese c’è anche un contraccolpo economico: la spesa sanitaria in uscita è molto più alta di quella in entrata. In altri termini sono più i romani (o cittadini delle altre quattro province) che vanno a farsi curare in altre regioni dei pazienti in arrivo da altri territori. E il saldo finale della spesa è negativo a quota 239 milioni di euro: solo la Campania e la Calabria fanno peggio. Per esempio la spesa sanitaria di pazienti laziali in Toscana, due anni fa, è stata di 84 milioni di euro. Subito dopo arrivano l’Abruzzo con 53 milioni di euro e l’Umbria con 50.

Le attese restano molto lunghe anche nei pronto soccorso. Secondo l’ultimo report del 2019 elaborato da Cittadinanzattiva Lazio e Simeu, la società italiana della medicina di emergenza-urgenza, l’attesa media in un pronto soccorso del Lazio è di 141 minuti per un codice bianco, 88 per un codice verde e 51 per un codice giallo. Si arriva però anche a casi limite di sei ore di attesa per i codici bianchi, tre ore e mezza per un verde e tre per uno giallo. Persiste un uso inappropriato del pronto soccorso da parte dei cittadini, come dimostrano i dati relativi ai codici di accesso: il 66 per cento sono verdi, il 27 per cento gialli, il quattro rossi e poco meno del tre bianchi.
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