Roma, San Raffaele: il caso tamponi «Pazienti positivi non controllati»

Roma, San Raffaele: il caso tamponi «Pazienti positivi non controllati»
di Alessia Marani
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Martedì 9 Giugno 2020, 12:09 - Ultimo aggiornamento: 12:56
Il giallo dei tamponi. Persino alcuni pazienti dimessi il 29 maggio sono stati trovati positivi e si sono positivizzati anche alcuni parenti. La Regione ha scoperto anche questo durante il contact tracing sul focolaio alla clinica San Raffaele alla Pisana,a  Roma. Nessuno aveva controllato durante il ricovero. Proprio per questo la Regione adesso verificherà tutto: ogni procedura di dimissione e accettazione dei pazienti che sono gravitati nella struttura, lo screening effettuato sugli operatori, finanche la verifica della attendibilità di tutti i tamponi eseguiti negli ospedali di provenienza ma soprattutto dentro la clinica dove era partita una sperimentazione che non avrebbe però ricevuto il via libera dal comitato etico dello Spallanzani. E per questo ritenuta «non autorizzata». La clinica, dal canto suo, replica che il progetto di ricerca «avviene sotto la supervisione del Ministero della Salute» e prevede tre tamponi a distanza di tempo e il controllo degli anticorpi.

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Finora erano già stati passati al setaccio 250 dipendenti (tutti negativi) e 200 degenti, trovandone 3 positivi il giorno 2 giugno. Da lì l'allarme alla Asl Roma 3 che ha poi attivato lo screening a tappeto fino a dichiarare la clinica zona rossa. C'è di più. Il caso indice, ossia il primo, quello che potenzialmente potrebbe avere diffuso il coronavirus all'interno dell'istituto di ricerca e cura risalirebbe al 3 maggio e riguarderebbe un fisioterapista. È quanto ricostruito finora dall'indagine epidemiologica. «Noi accettiamo solo pazienti che arrivano dagli altri ospedali con una certificazione Covid-negativa - afferma il direttore sanitario del San Raffaele Massimo Fini - Da quanto ci risulta l'operatore positivo indicato come caso indice aveva fatto un tampone per suo conto presso la Asl e dopo i 14 giorni di isolamento e due tamponi negativi aveva ricevuto l'autorizzazione a riprendere il lavoro. Ci chiediamo come mai non sia stato attivato allora il contact tracing. Per noi è più giusto dire che è indeterminabile al momento chi e cosa abbia scatenato il focolaio senza evidenze scientifiche precise». A chiarire meglio quanto accaduto alla Pisana sarà anche una indagine della Procura che ha deciso di inviare i carabinieri del Nas nella struttura per una ispezione.

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Bisogna, a prescindere dalle responsabilità, capire intanto quale è stata la falla perché non si ripeta. «Questo focolaio - spiega l'assessore Alessio D'Amato in prima linea nell'emergenza - dimostra che non bisogna abbassare il livello di attenzione e occorre mantenere il rispetto dei protocolli». L'audit interno sarà volto a verificare, infatti, anche il rigoroso rispetto delle misure anti-Covid anche in relazione ai dipendenti. A ieri i casi di positività al coronavirus nel cluster sono saliti a 41. Si tratta di 24 pazienti già trasferiti allo Spallanzani e in altri ospedali Covid, 9 dipendenti, 7 esterni (contatti e familiari dei positivi) e di un anziano con pluripatologie deceduto.

La struttura continua a essere zona rossa. Nessuno entra e nessuno esce a meno che non sia autorizzato dalla Asl Roma 3. Continuano a prestare servizio, secondo i turni, anche i dipendenti risultati negativi al tampone ma che, di fatto, sono in sorveglianza domiciliare e hanno l'obbligo di dimorare in casa e non fare vita sociale. I detective del Seresmi, il Servizio dedicato al contact tracing dei focolai di coronavirus nel Lazio hanno ricostruito anche, finora, che alcuni degenti dimessi dalla struttura il 29 maggio sono poi risultati positivi ai test e così anche i loro familiari più stretti. L'indagine epidemiologica, fa sapere la Regione, è stata conclusa nella sua prima fase ma sarà estesa anche a 1800 pazienti e contatti. Ieri sono state sottoposte ai test nei drive-in altre 500 persone.

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