Roma, tute Covid fatte in Albania: in carcere i fratelli Piccolo. Subappaltavano il confezionamento a imprese cinesi di Prato con operai in nero

L’ex consigliere Pdl e il fratello erano i veri padroni del consorzio Gap che ha fornito 11 milioni di camici sanitari

Tute Covid fatte in Albania, in carcere i fratelli Piccolo: subappaltavano a imprese cinesi di prato con operai in nero
di Valeria Di Corrado
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Venerdì 8 Luglio 2022, 07:29 - Ultimo aggiornamento: 09:37

I delinquenti, i banditi. Venivano definiti così i fratelli Samuele e Massimiliano Piccolo, finiti in carcere con l'accusa di truffa, appropriazione indebita e frode nelle pubbliche forniture. Secondo il gip del Tribunale di Prato che ne ha ordinato l'arresto, l'ex vice presidente dell'Assemblea capitolina (eletto nel 2008 in quota Pdl) e il fratello Massimiliano erano «gli effettivi titolari» del Consorzio Gap, con sede a Roma e amministratore unico Cristiana Ferraccioli (ex casalinga di Ladispoli, anche lei indagata). Fino al 23 febbraio 2021 il socio unico di Gap era Laura Tamburelli, moglie di Samuele Piccolo. Tale consorzio - nei confronti del quale è stato ordinato il sequestro per 43,2 milioni di euro - si era aggiudicato nel novembre del 2020 dal commissario straordinario per l'emergenza Covid-19 l'appalto per la fornitura di 11 milioni di tute protettive monouso.

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Tute Covid fatte in Albania, le indagini

Secondo la ricostruzione fatta dalla Procura, sulla base delle indagini della Squadra mobile di Prato, «subappaltavano, senza l'autorizzazione della stazione appaltante, il confezionamento delle tute a svariati laboratori a conduzione cinese, operanti nel settore del confezionamento di tessuti, la cui organizzazione del lavoro si caratterizzava per lo più per la sistematica violazione delle norme sulla sicurezza e sull'igiene, per il ricorso a lavoratori a nero non contrattualizzati e privi di regolare titolo di soggiorno nel territorio dello Stato». Inoltre, «realizzavano le tute protettive con tessuti diversi da quelli certificati» e, sebbene il Consorzio Gap fosse contrattualmente obbligato al Made in Italy, le facevano produrre in Albania. Prima di importarle in Italia, «venivano scucite le maniche e tolte le etichette», per evitare che ci si accorgesse della violazione contrattuale. Ben 1.918.000 camici sono finiti all'Asl Roma 2, al prezzo di 6, 10 euro ciascuno.
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Gli indagati

Molti degli altri 32 indagati erano «ben consapevoli di doversi rapportare ai Piccolo quale reali gestori di fatto che assumevano tutte le decisioni di vertice circa l'organizzazione e l'estrinsecazione dell'attività lavorativa del Consorzio».

A proposito di Massimiliano, dicevano: «Lui non compare da nessuna parte, ma lui è il titolare... è il padrone». Il direttore generale e il direttore della produzione di Gap commentavano «i rischi personali che stavano correndo per attuare le volontà verticistiche del fratelli Piccolo»: «Vien fuori il patatrack! Perché te non puoi né subappaltare, non puoi far nulla... tu sei tenuto per contratto a rispondere della regolarità contributiva e retributiva di chi lavora». O ancora: «So soltanto che siamo seduti su una pentola a pressione e tra poco viene fuori tutto il vapore e ci bruciamo il c... o se da questa storia ci usciamo senza le ossa rotte è un miracolo!». Ciò dimostra, secondo il gip, «l'operare tipicamente illecito che il consorzio era solito portare avanti nella gestione della fornitura delle tute commissionate dal dottor Arcuri prima e dal generale Figliuolo poi».

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Dai sequestri all'arresto

Dalle mail sequestrate dalla polizia è emerso come tutte le comunicazioni più importanti (come l'offerta inviata a Invitalia'' per l'aggiudicazione della commessa) fossero state inoltrate agli account personali dei fratelli. «È pertanto agli indagati Piccolo - si legge nell'ordinanza di arresto - che deve essere primariamente addebitata quella spregiudicatezza gestionale che ha connotato tutte le decisioni assunte da Gap al fine di ottenere guadagni milionari a discapito della qualità dei prodotti realizzati». «Samuele Piccolo, oltre a essere stato attinto - spiega il gip Leonardo Chesi - da misura cautelare in passato in relazione a reati che riguardavano la gestione di aziende a lui riconducibili, è il soggetto che figura ancora meno del fratello tanto che, nel momento in cui le telecamere del programma Report si recano presso i locali di Gap, pone in essere una vera e propria fuga al fine di non essere ripreso».
 

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