Andavano a caccia di anziani: ne avevano presi di mira decine. Li avvicinavano per le strade della Capitale e poi li convincevano di avere migliaia di euro per loro: un assegno da riscuotere per un rimborso assicurativo destinato a un loro parente. Per ricevere la somma era però necessario pagare in contanti la parcella di un fantomatico avvocato. Era un imbroglio: chi cadeva nel tranello consegnava in mano ai truffatori i propri soldi. Il raggiro ha spedito sul banco degli imputati una coppia di cognati campani, Fabio Biancolino e Vincenzo Salzano, di 43 e 53 anni. Sono trenta i casi accertati di truffa, consumata e tentata. I fatti risalgono al 2018. Il 19 giugno a piazzale Clodio, davanti al pm Lina Corbeddu, si è aperto il processo. Negli anni tre vittime ottantenni sono anche decedute. Per i due imputati non si tratterebbe di casi isolati: a loro carico ci sono altri procedimenti per lo stesso reato. Ora si trovano in carcere.
Truffe, convincevano le persone a pagare
Vivevano di inganni, Biancolino e Salzano, la coppia di cognati, originaria di Napoli, con la passione per le truffe. Da quando non lavoravano più come venditori ambulanti avevano fatto squadra e messo in piedi un'attività del tutto artigianale. Approfittare della fragilità degli anziani era la loro specialità per portare a casa un bel guadagno mensile. Avvicinavano gli sfortunati, a bordo della loro auto, girando per le strade di Roma con una busta da lettera in mano.
Il copione della truffa era sempre lo stesso. A cambiare era solo il modo di ottenere la fiducia degli ottantenni in base alle informazioni personali che riuscivano a recuperare. Alcune volte i due imputati fingevano di parlare al telefono con il presunto figlio dell'anziano, primo destinatario dell'assegno, ma dall'altra parte della cornetta c'era solo un complice. Solo alcune vittime sono riuscite a rendersi conto che quella al cellulare non era la voce del figlio.
La contestazione
I capi d'imputazione sono trenta: «Salzano alla guida dell'autovettura da lui noleggiata e Biancolino, incaricato di interloquire con la vittima, compivano atti idonei diretti e in modo non equivoco a commettere una truffa ai danni della persona offesa, con artifizi e raggiri», si legge negli atti.
Secondo la difesa di Fabio Biancolino, rappresentata dall'avvocato Giorgio De Caroli, «è un processo con capi d'imputazione costruiti sulle celle telefoniche, molti anziani non hanno riconosciuto nel mio assistito il truffatore che li ha fermati. In alcuni casi il cellulare di Biancolino aveva agganciato la cella del luogo in cui è avvenuta proprio la truffa, ma non ci sono riscontri che lui fosse realmente lì».
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