Roma, la guerra dei Torlonia: dissequestrato il tesoro da due miliardi di euro

Roma, la guerra dei Torlonia: dissequestrato il tesoro da due miliardi di euro
di Alessia Marani
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Sabato 20 Aprile 2019, 10:44 - Ultimo aggiornamento: 10:47

Revocato il sequestro giudiziario di tutti i beni della famiglia Torlonia, giudicato dall'ottava sezione del Tribunale civile di Roma «inammissibile» il reclamo presentato da Carlo Torlonia contro i fratelli minori, Paola, Francesca e Giulia, nonché il nipote Alessandro Poma Murialdo. Si chiude così la dolorosa controversia interna allo storico casato romano sulla maxi-eredità lasciata dal principe Alessandro alla sua morte, avvenuta a 92 anni, nel dicembre del 2017. Nel mirino un patrimonio tra palazzi, dimore storiche, opere d'arte, quote societarie e conti correnti, stimato in almeno due miliardi di euro.

Patrimonio Torlonia, nominato un custode per i beni della famiglia

Il cui pezzo forte è costituito soprattutto dalla famosa Collezione di marmi originali del mondo romano e greco valutata dalla Sovrintendenza in circa 600 milioni di euro.
Carlo Torlonia, primogenito di Don Alessandro, aveva impugnato il testamento convinto che quella sterminata eredità non fosse stata ripartita a dovere, chiedendo «l'accertamento della lesione della propria quota legittima». Per questo tra il novembre e il dicembre del 2018 era stato emesso un provvedimento di sequestro giudiziario e conservativo che, però, adesso il Tribunale ha revocato.

IL PRONUNCIAMENTO
Ma con un'ordinanza firmata dal presidente Eugenio Curatola, adesso, il collegio giudicante non solo dissequestra ogni bene ma dichiara «l'inammissibilità del reclamo incidentale proposto da Carlo Torlonia». In particolare, il Collegio «ritiene che - si legge nel dispositivo - allo stato, la dedotta lesione della quota di legittima non è suffragata da sufficienti elementi di prova, apprendo, al contrario difficilmente ravvisabile». Premettendo la rilevante entità del compendio ereditario (oltre alla collezione di marmi, «le inestimabili proprietà di Villa Torlonia, già Villa Albani, delle collezioni d'arte in questa custodite e altri beni»), il Tribunale rileva che «Carlo Torlonia non è stato pretermesso e che, anzi, con il testamento gli sono state attribuite quote di beni in misura superiore alla quota di 1/6 spettante come legittima», riferendosi soprattutto «alla stessa proprietà di Villa Torlonia, alla Collezione di marmi, alla cappella in San Giovanni in Laterano, alla collezione di vasi etruschi, ai beni della moglie di Alessandro», tenendo conto anche delle «donazioni effettuate in favore dello stesso Carlo».

LE ACCUSE
Il primogenito dei Torlonia parlò di presunte «firme falsificate» del padre, di «conti correnti chiusi» e confuse operazioni societarie effettuate prima del decesso a suo danno. Sospettando che il resto della sua famiglia volesse «vendere all'estero» parte della collezione privata per fare cassa e ricapitalizzare l'antica Banca del Fucino per rendere operativa la fusione con il gruppo Igea Banca. Anche su questo punto, argomentando più in generale la non necessità del sequestro dei beni, il Tribunale ha commentato che «il prospettato pericolo risulta insussistente vista la sopravvenuta sospensione delle delibere con le quali era stato approvato il progetto di fusione».

Non solo. Non risparmiò critiche al nipote Alessandro Poma Murialdo, figlio di Paola, che il nonno nominò curatore testamentario, accusato di non avere agito in maniera equa. «Ora il Tribunale riconosce che le cose erano state fatte correttamente - fa sapere la famiglia - e che neanche il sequestro aveva senso. Rimane pur sempre una vicenda lacerante che mai avremmo voluto affrontare». Intanto il restauro della Collezione d'arte, in capo alla Fondazione Torlonia, va avanti e tramite un accordo con il Mibact, presto potrà essere esposta per la prima volta al pubblico nella Capitale.

 
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