Roma, Tagliavanti (Camera di Commercio): «Servono 5 miliardi, lo Stato riconosca il ruolo della Capitale»

«I servizi non sono degni: bisogna dare più poteri al sindaco in tema di sviluppo e mobilità»

Roma, Tagliavanti (Camera di Commercio): «Servono 5 miliardi, lo Stato riconosca il ruolo della Capitale»
di Francesco Pacifico
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Sabato 12 Febbraio 2022, 00:57

Presidente Lorenzo Tagliavanti, partendo da una ricerca della Camera di Commercio e dal fatto che ogni giorno oltre 4 milioni di persone gravitano su Roma, il sindaco Gualtieri ha chiesto al governo più risorse per i servizi che la Capitale offre ai pendolari.
«E ha fatto bene. Perché Roma, sul fronte dei trasferimenti nazionali, registra un fortissimo deficit rispetto alle altre capitali. Abbiamo calcolato che avremmo bisogno di almeno 5 miliardi in totale di trasferimenti diretti, approssimativamente quanto lo Stato francese riserva a Parigi. Però prima dobbiamo porci due domande, che dimentichiamo spesso».
Quali?
«Che cos’è oggi Roma? E di chi è Roma? Certo, Roma è la città dei romani, quelli iscritti all’anagrafe, ma è pure la città che attrae per le sue funzioni i territori vicini, con confini allargati fino a Terni e a Caserta. Eppoi è la capitale degli italiani. Ed è una capitale con forte respiro internazionale con la Santa Sede, la Fao e tre tipi di delegazione diplomatica. E di chi è Roma? Sicuramente dei romani, ma è anche degli italiani e di tutti gli abitanti del mondo». 


La morale?
«Mi sembra che quando parliamo dei servizi che Roma offre, si fa l’errore di ricordare che esista solo la città dei romani. I quali devono pagare le tasse, per carità, ma il costo della gestione non può gravare solo su di loro. Devono partecipare anche gli altri livelli. È come fare la spesa per una famiglia di due persone eppoi a tavola sono in quattro».
Ma i servizi, a Roma, sono degni di una Capitale?
«Assolutamente no.

Sono insufficienti per i residenti e inadeguati per quella Roma che dovrebbe avere il rango di grande capitale. E a maggior ragione se pensiamo che da qui ai prossimi dieci anni avremo da spendere i fondi del Pnrr e sfrutteremo grandi eventi come il Giubileo e speriamo l’Expo. Anche perché, per essere attrattivi e recuperare il deficit di immagine, dobbiamo rispondere alle esigenze di quelli - a me non piace il termine pendolare - che io chiamo i “cittadini temporanei”. E che cosa vogliono?».


Che cosa?
«Quello che vogliamo noi: pulizia, trasporti in orario e assistenza sanitaria. Ma questo ha un costo». 
Ma per avere più risorse non servono più poteri?
«All’inizio del Millennio, mentre le grandi città si stavano dando un nuovo status, facemmo una ricerca con la London School of Economics. E lì, per migliorare la qualità dei servizi, proponemmo il modello di “Roma Regione”, anche perché c’è una commistione di tipo economico o infrastrutturale tra la Capitale e le zone limitrofe. E Roma già è una regione: l’aeroporto di Roma, il porto di Roma e il centro alimentare, per esempio, sono a Fiumicino, Civitavecchia e Guidonia. Fuori ci sono alcuni importanti insediamenti produttivi. Ora, con la riforma dei poteri, servirà un riconoscimento nazionale, anche perché dare potestà legislative su mobilità, sviluppo e urbanistica, vuol dire semplificare. Ma se il sindaco di Roma continuerà ad avere gli stessi poteri di un collega di una piccola città, non riusciremo neppure a valorizzare i territori, i singoli Municipi». 
L’altra faccia della medaglia che si evince anche dalla ricerca: cresce la distanza tra Centro e periferie.
«Chiariamoci: i municipi non hanno poteri, ma i quartieri danno identità a Roma, sono vivissimi. Per esempio, il 40 per cento delle nuove start up nasce nelle periferie. Qui, ci sono i bambini che mancano in Centro, l’integrazione con gli immigrati, si offrono servizi, solidarietà e socialità che ci hanno permesso di resistere durante il Covid. Per questo è necessario dotare i territori di un adeguato presidio amministrativo».


Guardando ai flussi di pendolari in ingresso, per lavoro o diletto, che città è oggi Roma? 
«È una realtà con fortissima dinamicità imprenditoriale. Da almeno da 5 anni registra il più alto numero di nuove imprese: tra il 2020 e il 2021, anni tosti perché condizionati dalla pandemia, ne sono nate 15mila. E in assenza del turismo, siamo la città italiana che ha recuperato l’anno passato più Pil, pur avendone perso meno in quello precedente. Vuol dire che oltre al turismo c’è dell’altro, come l’edilizia, i servizi alle aziende o la filiera dell’agrolimentare».
Non è preoccupante che la metà dei turisti non pernotti?
«Succede perché non gli diamo un’occasione per restare un giorno in più: una mostra, un concerto, uno spettacolo teatrale oltre a vedere bellezze come il Colosseo. Non possiamo continuare a pensare alla nostra città soltanto come un museo».
Tra qui a dieci anni, dopo Giubileo e forse l’Expo, che Roma sarà?
«Sarà la capitale del sapere. E potrà attrarre investimenti e i migliori cervelli perché possiede, nell’economia post Covid, tutte le carte per emergere: è una città orizzontale, ha grandi spazi verdi, è l’unica con polmoni verdi e vicino al mare. E non abbiamo un’economia da riconvertire. I fondi d’investimento internazionali che hanno dato un giudizio negativo sull’Italia, ora puntano su Roma. Starà a noi realizzare questo obiettivo, facendo dialogare imprese e mondo della conoscenza, come stiamo provando a fare con il progetto del Technopole. Starà a noi offrici al mondo come meta per i prossimi anni».

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