Roma, l'archistar Boeri: «Con il modello Garbatella, ridiamo orgoglio alla città»

Il piano del Comune per riqualificare la Capitale, a partire dalle periferie

Roma, l'archistar Boeri: «Con il modello Garbatella, ridiamo orgoglio alla città»
di Camilla Mozzetti
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Martedì 26 Luglio 2022, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 09:56

Ripensare le periferie e quelle “borgate” che ancora esistono, creare degli “arcipelaghi” e dare ad ognuno quella completezza tale per cui gli spostamenti diventano necessari solo per piacere. Sentirsi orgogliosi del proprio quartiere perché offre i servizi più completi, un po’ come la Garbatella. Puntare sul verde e far tesoro del suo comparto agricolo cittadino e metterlo a sistema in un cerchio che lega produzione, distribuzione e consumo. Rendere i trasporti più efficienti, sfruttare il Tevere, ma puntare anche sulla mobilità eco-sostenibile. Eccola la Capitale che verrà secondo l’architetto Stefano Boeri incaricato dal Campidoglio di seguire “Roma50”, un laboratorio di idee e progetti che riescano a traghettare la città nel futuro.

Architetto Boeri, partiamo dal nome “Roma50”: da dove nasce questa scelta?
«Nasce dal fatto che Roma come tutte le grandi metropoli si sta attrezzando per rispondere ai piani delle Nazioni Unite e a quelli della Commissione Europea per la transizione ecologica e fare fronte alle due scadenze del 2030 e del 2050».

Lei non è romano però la città in qualche modo ce l’ha nel cuore. Per lei la Capitale cosa rappresenta?
«Lo dico spesso: Roma è il mondo, abbiamo tante volte parlato delle grandi metropoli del pianeta e della competizione che c’è tra le grandi città.

Ma la Capitale è diversa da tutte le altre, ha un rapporto con la storia, con la geografia e con la demografia che è unica al mondo. È davvero la Capitale dell’umanità e merita un’attenzione particolare. Gioca un altro campionato, diciamo così».

I suoi noti “arcipelaghi”, ovvero micro-mondi funzionali, e l’idea di una città svelta come si possono declinare a Roma?
«La città ha già oggi una struttura che in qualche modo ricorda l’arcipelago. Vive di borgate, rioni, quartieri che sono in qualche modo autonomi e in alcuni casi già circondati da un sistema di corridoi verdi. Ma le sfide su cui si lavora in vista del 2030 e poi del 2050 sono almeno cinque».

Quali?
«Roma è il più grande Comune agricolo italiano, l’agricoltura è una parte fondamentale della città e allora legare questo tema a quello dell’economia circolare, ad un rapporto tra produzione agricola e consumatori può diventare una sfida straordinaria. Un secondo tema è certamente quello della mobilità, bisogna lavorare sui trasporti pubblici che oggi sono quello che sono ma oltre che recuperare le potenzialità del Tevere, che non attraversa solo la città, bisogna ragionare su una mobilità leggera e sostenibile e la sfida dell’Expo è importante anche per questo. Il terzo tema è quello del verde, Roma ha delle potenzialità enormi ma vanno riequilibrate perché ci sono quartieri senza o con poco verde e altri che ne abbondano. Ricordiamoci che il verde va curato, ci sono tanti corridoi che legano la città e che vanno recuperati. Poi la grande sfida della biodiversità, a Roma convivono culture diverse ma contemporaneamente è abitata anche da specie diverse e questo oggi è un problema enorme. Bisogna costruire una politica anche “etologica”, porsi il problema di come convivere con alcune specie di volatili o di mammiferi tipo i cinghiali non è uno scherzo. Infine il tema dell’energia, la sfida per Roma di rendersi autosufficiente grazie alle rinnovabili».

Traduciamo tutto questo a partire dai trasporti. La mobilità che si collega al concetto di una città “smart”, da vivere in “15 minuti” come si potrebbe declinare?
«Al netto degli slogan dovremo far sì che i quartieri possano avere a disposizione tutti i servizi utili alla vita quotidiana senza richiedere spostamenti eccessivi. Questa è la vera grande risorsa quando si parla di rigenerazione urbana. Se so che nel mio quartiere ho l’asilo nido, ho i negozi necessari, ho le scuole, ho gli ambulatori o quelle che saranno le case della salute dove poter avere un primo riscontro clinico, degli spazi sportivi sufficienti e magari anche dei servizi culturali, questo fa sì che un quartiere venga vissuto da una comunità con un senso di appartenenza e un senso di orgoglio. Dopodiché è chiaro che ci sono le università, gli ospedali, le fiere che non possono essere naturalmente in tutti i quartieri».

E dunque ricondurre gli spostamenti al piacere di fare qualcosa e non alla necessità per soddisfare un bisogno?
«Esattamente, soprattutto per gli spostamenti della vita quotidiana. È chiaro che se vado in un museo accetto di spostarmi, o comunque accetto i movimenti legati al lavoro che sono necessari». 

Qual è il quartiere che l’affascina di più e che in prospettiva potrebbe dare maggiore soddisfazione per il laboratorio?
«Sono andato tanto in giro per il mondo, e non amo fare delle classifiche sui quartieri più belli. Sono però innamorato della Garbatella, nato come quartiere periferico ma diventato poi con il tempo un quartiere verde, percorribile, accessibile a tutti. Ecco questo per me è un modello importante».

Il laboratorio che lei sovrintenderà è pronto a partire. 
«Ringrazio il sindaco Gualtieri per la fiducia, questa è un’occasione per valorizzare dei giovani architetti che lavoreranno ad una visione di Roma e che negli anni potranno essere una grande risorsa per le politiche pubbliche. Ma innanzitutto ascolteremo le competenze degli esperti, del mondo universitario e della società civile, a cominciare dalle generazioni più giovani e senza escludere la voce dei bambini che sono pragmatici e fantasiosi per arrivare a delineare una città rispondente ai bisogni di tutti». 
 

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