Rifiuti, i cinque errori che soffocano Roma: ​ecco le cause che hanno portato Ama all’emergenza

Rifiuti, i cinque errori che soffocano Roma: ecco le cause che hanno portato Ama all emergenza
di Mauro Evangelisti
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Venerdì 28 Giugno 2019, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 29 Giugno, 00:51

La crisi dei rifiuti a 40 gradi poteva essere evitata. E poteva anche essere facilmente prevista. A Roma Capitale si scrivono post zelanti su Facebook in cui si distribuiscono colpe ad altri o si dice che va tutto benissimo. Meno efficienza sulla prevenzione. Ecco i cinque errori che hanno condannato Roma all’estate dei miasmi. Il primo: di fronte all’annuncio che i due impianti di Malagrotta, per tutta l’estate, avrebbero fatto manutenzione e dunque ridotto la quantità di rifiuti trattati (500 tonnellate al giorno in meno), c’è stata una sottovalutazione del problema. 27 marzo: Luigi Palumbo, il commissario nominato dal tribunale che guida l’azienda di Cerroni e dunque gestisce i due impianti di trattamento che normalmente lavorano 1.250 tonnellate di rifiuti indifferenziati, fa sapere ad Ama che dal 25 aprile i Tmb funzioneranno a metà.

In quei giorni Ama è allo sbando, la sindaca Raggi dopo un anno di paralisi e braccio di ferro con il presidente che lei stessa aveva nominato, Lorenzo Bagnacani, ha cacciato tutto il Cda, senza però sostituirlo. L’azienda è affidata al direttore esecutivo, Massimo Bagatti, che da solo si trova ad affrontare la tempesta. Palumbo accetta un compromesso. Slitta al 27 maggio (dopo le elezioni) lo stop più consistente (si parte più gradualmente con “meno 200 tonnellate”). Dunque ci sono due mesi per mettere in campo un piano alternativo. Si chiede aiuto alla Regione, perché trovi altri impianti, c’è anche l’intervento del Ministero dell’Ambiente. Ma alla fine non si cercano e non s’insiste per una gamma di soluzioni più vasta, che coinvolga anche altre Regioni. Così, il piano diventa fragilissimo. Ad esempio l’impianto di Rida, ad Aprilia, riduce la quantità dei rifiuti accettati, salta tutto. Le esperienze del passato non hanno insegnato nulla, perché è sempre andata così: se sei disperato, se non hai alternative, sei sempre vittima dei fornitori da cui dipendi. Non serve un paracadute, ne servono dieci.

Il secondo errore, se vogliamo ancora più grave, è stato non attivare tutti gli impianti che l’azienda ha a disposizione. Nel Municipio di Ostia c’è un tritovagliatore mobile (un impianto di trattamento) di Ama che potenzialmente potrebbe lavorare 150-200 tonnellate di rifiuti al giorno. Oggi è, incredibilmente, spento, va comunque a singhiozzo. Ha funzionato, ma per poche decine di tonnellate, due settimane, poi è stato fermato. 200 tonnellate giornaliere non sono molte, ma comunque sarebbero un aiuto. Ama non è riuscita a stipulare contratti con le ditte che dovrebbero poi accogliere gli scarti della lavorazione. Come mai? Queste ditte sono diffidenti, Ama è un’azienda che da due anni non approva un bilancio e dunque temono per la regolarità dei pagamenti. E qui si arriva al terzo errore: di fronte a un’emergenza rifiuti ampiamente prevista, Virginia Raggi ha lasciato l’azienda senza bilanci. Ne è scaturita l’agonia di una guerra tra i vertici (ripetiamolo: nominati dalla Raggi) e Roma Capitale. Da febbraio a giugno l’Ama non ha avuto un presidente, un amministratore delegato, non ha un direttore generale. Se nessuno guida l’aereo, come si potranno superare le turbolenze? Non solo: i rifiuti in questo momento sono la piaga più evidente di Roma. Sapete chi è l’assessore ai Rifiuti che sta lavorando 24 ore su 24 per migliorare la situazione? Nessuno. Dall’8 febbraio Virginia Raggi non ha sostituito Pinuccia Montanari che se ne è andata sbattendo la porta. Ovvio poi che la crisi dei rifiuti a 40 gradi ti prenda di sorpresa. 

Il quarto errore dell’Ama e di Roma Capitale, generato sempre dalla maledetta sottovalutazione dei problemi e dalla propensione a privilegiare i post su Facebook rispetto alla necessità di prendere decisioni, magari impopolari: non preparare l’azienda di fronte alla necessità di aumentare la quantità dei rifiuti da trasportare oltre i confini di Roma Capitale. Per capirci: prima c’è stato l’incendio del Tmb di via Salaria (dicembre 2018), poi dalla primavera il rallentamento degli impianti di Malagrotta. Significa che sono circa 1.000-1.500 tonnellate destinati a viaggiare ogni giorno. Questo però significa organizzare il trasbordo dei camion, i percorsi. Tutto è molto più complicato, eppure i centri di trasbordo su cui si stava lavorando sono ancora fermi (Saxa Rubra), per altri è stata fatta marcia indietro (Talenti).

A proposito di camion e raccolta. Qui si arriva al quinto errore: non avere organizzato l’azienda sul fronte dei mezzi, il 50 per cento è fermo e in avaria, anche a causa dell’età media molto alta. Non solo: di fronte ai cumuli di rifiuti che da tre settimane sono ancora su molti marciapiedi non sono state organizzate «squadre speciali», non sono stati trovati mezzi come i ragni (delle gru) che in tempi rapidi liberassero le strade. Si è andati avanti con piccoli camion e due operatori che, un po’ alla volta, a mano provavano a raccogliere i sacchetti accumulati. Loro stessi simboli di una Roma ormai allo stremo.
 

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