Rembrandt, la galleria Corsini e il prestigio di Roma

Rembrandt, la galleria Corsini e il prestigio di Roma
di Mario Ajello
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Domenica 27 Settembre 2020, 20:39 - Ultimo aggiornamento: 22:30

Va via Rembrandt, ma resta Neri Corsini. E non è affatto poco, anzi: stiamo parlando di un personaggio centrale della storia del ‘700 e della cultura che ha fatto grande Roma e continua a contribuire all’eccellenza della Capitale. La scena è quella di Palazzo Corsini, alla Lungara, Trastevere. La mostra meravigliosa intitolata «L’autoritratto come San Paolo», incentrata su uno dei più famosi dipinti di Rembrandt che apparteneva alla collezione Corsini e ora ci è tornato temporaneamente dal Rijksmuseum di Amsterdam, chiude i battenti il 30 settembre, quel capolavoro si avvia di nuovo in Olanda, e però lascia una storia che vale la pena di raccontare. Perché questa storia continua. E’ quella di Neri Corsini, cardinal nipote di Clemente XII, padrone di casa a Palazzo Corsini nei decenni culturalmente più ricchi del ‘700, politico, mecenate e intellettuale di estrema intelligenza, grande tessitore dei rapporti e degli affari di Stato vaticano in quei frangenti della storia tra pre-illuminismo e illuminismo in cui anche la corte papale partecipò a suo modo al ciclone del rinnovamento. Che personaggio Neri Maria Corsini (1685-1770). Fu lui a comprare l’autoritratto di Rembrandt facendogli vivere un pezzo di percorso in Italia. L’acquistò dalla vedova di Nicolas Vleughels, pittore nato a Parigi e diventato nel 1725 direttore dell’Accademia di Francia a Roma. Neri - il cui potere trasuda dai colori e dagli sguardi, dall’ambientazione del quadro settecentesco tuttora conservato a Palazzo Corsini: «Clemente XII e il cardinal Neri Corsini» di Pietro Paolo Cristofari - piazzò quel capolavoro fin da subito nell’ambiente principale di quel sontuoso edificio, ovvero la Galleria dei dipinti. Ma la storia avrebbe riservato colpi di scena all’autoritratto di Rembrandt di cui questa mostra che ora si chiude - ma sono in arrivo altre sorprese - racconta le vicende a cura di Alessandro Cosma, con le luci giuste che sono state allestite da Enrico Quell e nel suo luogo naturale che non poteva che essere Palazzo Corsini guidato da Flaminia Gennari Santori che è anche ottima direttrice di Palazzo Barberini. E insomma, con con l’arrivo dei francesi a Roma e la dominazione napoleonica del 1799, il dipinto di Rembrandt - all’insaputa dei Corsini riparati fuori dall’Urbe - venne venduto dal loro “maestro di casa”, per far fronte alla tassazione pesantissima che il nuovo governo aveva imposto alle famiglie nobili. Il principe Tommaso, infuriato, fece di tutto per recuperare quel Rembrandt. Riuscì a far tornare indietro altri gioielli: tra cui la «Madonna col bambino» di Murillo, la «Salomé con la testa del Battista» di Guido Reni, ancora esposte a Palazzo Cordini, e l’autoritratto del maestro di Leida in questo suo ritorno a Roma è stato giustamente esposto accanto ai suoi colleghi di un tempo. Ma dal recupero rimase fiuori purtroppo il Rembrandt che intanto stava facendo la sua vita in giro per l’Europa, tra un collezionista e l’altro. 

Perché raccontare questa storia? Perché a come co-protagonista - oltre a Roma e Rembrandt - Neri Corsini su cui si devono accendere di più e meglio i riflettori della conoscenza. Su di lui e sull’ambiente in cui era inserito e che ha molto contribuito a rendere Roma come (troppo poco) la conosciamo.

Era un fiorentinissimo cosmopolita che aveva girato l’Europa come diplomatico del Granducato mediceo: Parigi, Vienna, Londra, L’Aja. Uno che, quando si piazzò a Palazzo Corsini a Roma da dove governava insieme allo zio Clemente XII, proteggeva di nascosto - insieme al suo fidatissimo monsignor Bottari, consigliere della Congregazione dell’Indice ma anche sponsor di edizioni clandestine di classici italiani sgraditi alla censura cattolica, come le «licenziosissime» Novelle di Franco Sacchetti - la cultura meno incline all’ortodossia. L’elezione di Clemente XII a pontefice era stata anche  opera delle sue trame presso le corti europee, dei suoi contatti, delle sue amicizie. Ovviamente era pieno di nemici. Il De Brosses, gran conoscitore di Roma,  lo definiva di «scarso spirito, meno cervello, nessuna capacità». Anche per le sue tendenze gianseniste («Il peccato di quella famiglia Corsini è che protegge e ha sempre protetto i birbanti», scriverà Benedetto XIV), il successore di Clemente XII farà fuori Neri. Su cui pesava tra l’altro, e da tempo, l’accusa di essere nemico giurato dei gesuiti. Il che era vero sia nel suo caso che in quello del suo sodale Bottari. 

E comunque, era stato lui nel 1736 ad acquistare il palazzo del Riario in via della Lungara che, restaurato da Fuga e diventato Palazzo Corsini, accolse sia la ricchissima biblioteca (più di quarantamila volumi) donatagli nel 1733 dallo zio, che egli contribuì ad accrescere e che aprì al pubblico nel 1754, sia la propria celebre raccolta di stampe, iniziata fin dagli anni della sua attività di diplomatico. Per non dire dei dipinti, e il Rembrandt fu uno di questi. Ora «L’autoritratto come San Paolo» torna in Olanda, ma qui resta la colossale memoria di Neri. E non c’è idea più opportuna di quella della direttrice di Palazzo Corsini: a presto una grande mostra sul cardinal nipote, per ricordare una grande stagione di sviluppo italiano e ricominciare da lì.
 

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