Roma, intervento miracolo al Bambino Gesù: «Avevo già perso due figli, ora Matteo è salvo»

Roma, intervento miracolo al Bambino Gesù: «Avevo già perso due figli, ora Matteo è salvo»
di Barbara Carbone
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Mercoledì 17 Marzo 2021, 07:21 - Ultimo aggiornamento: 07:27

Ha realizzato tre volte il sogno di aspettare un figlio, ma tutte le gravidanze si sono trasformate in un incubo e oggi Monica, una giovane mamma di Matera, può stringere tra le braccia solo il piccolo Matteo. Di Giovanni e Alessandro non le resta che un tatuaggio raffigurante due piedini, identici a quelli dei suoi bimbi, nati prematuri e immediatamente deceduti a causa di un difetto del sistema circolatorio molto grave che insorge nel 30% dei neonati che vengono al mondo troppo presto.
L'epilogo per Matteo è stato fortunatamente diverso da quello dei fratelli. Dopo aver combattuto tre mesi tra la vita e la morte è finalmente tornato a casa, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto nascere. A salvare il bimbo, venuto alla luce alla 25esima settimana con un peso di appena 730 grammi, è stato un intervento mini-invasivo per via trans-catetere in emodinamica effettuato dall'équipe multidisciplinare dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma guidata dal responsabile di Cardiologia Interventistica, Gianfranco Butera.

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Monica, dopo 92 giorni di calvario Matteo è a casa. Qual è il pensiero più bello?
«Non avere più nessuno che possa dirmi che è finito l'orario di visita, sapere che Matteo è qui e sarà con noi per sempre.

Ho potuto prenderlo in braccio solo due mesi dopo la nascita e ora sentiamo entrambi la necessità di essere in perenne contatto. L'altro giorno ho dovuto lasciarlo qualche minuto con un medico per un controllo e ho pianto. Noi dobbiamo recuperare il tempo perso. Mio figlio ha combattuto come un leone per sopravvivere e adesso ha bisogno di latte, amore e coccole».


Quale è stato il momento più critico?
«Ce ne sono stati tanti. Abbiamo vissuto interminabili giorni di paura. Paura di toccarlo, paura che la situazione precipitasse, paura che ci telefonassero dall'ospedale per dirci che il bimbo era peggiorato o stava male. Mesi d'angoscia nei quali ho cominciato ad amare la parola stabile, un termine rassicurante. Quando i medici mi dicevano che Matteo era stabile tiravo un sospiro di sollievo. Il pericolo si allontanava».


Quando Matteo era in terapia intensiva che rapporto riusciva ad avere con lui?
«Andavo da Matteo ogni giorno. Lo guardavo per ore. Era piccolissimo ma voleva vivere. Ha mostrato da subito il suo caratterino. I medici si raccomandavano di non scattargli fotografie ma io non resistevo. Volevo che ci fosse sempre un collegamento tra me e lui anche quando non eravamo fisicamente insieme. A casa mi tiravo il latte guardando la sua foto. Speravo che un giorno quel latte avrebbe potuto berlo il mio bambino. Quel momento è arrivato e ho il freezer pieno di latte».


Le sue gravidanze sono state difficili dall'inizio?
«Assolutamente no. La beffa è stata proprio che ho avuto tre gravidanze apparentemente normali, serene, nelle quali tutto procedeva regolarmente. Poi all'improvviso, intorno al quinto mese, avvertivo dei doloretti e entravo in travaglio. Giovanni è nato alla 22esima settimana e Alessandro e Matteo alla 25esima. Il primo bambino non abbiamo neanche potuto vederlo, il secondo si, l'ostetrica ci ha anche concesso di stare un po' con lui, ci ha dato il tempo di capire quello che era successo».


Ha trovato sostegno nel personale medico?
«Purtroppo no. Quando è morto Giovanni i medici mi chiesero: cosa dobbiamo fare del prodotto?. Non dimenticherò mai la brutalità di quelle parole. Fino a poche ore prima ero una felice mamma in attesa. Dopo poco avevo perso il mio bambino ma per i medici era solo un prodotto. Con Alessandro andò diversamente. Abbiamo potuto vederlo, fotografarlo e scegliere di farlo cremare per conservare l'urna in casa. Eravamo più informati. I suoi piedini sono diventati un tatuaggio che io e mio marito porteremo per sempre sui nostri corpi».


Dove ha trovato la forza per andare avanti?
«Nella speranza, quella che non mi ha mai abbandonata anche nei momenti più bui. Sapevo che avrei trovato la luce in fondo al tunnel. Grazie alla testardaggine che mi ha impedito di arrendermi, Matteo oggi è qui».

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