Roma, bimbo morto nell'ascensore della metro: condannato a 2 anni il dipendente Atac che cercò di salvarlo

Roma, bimbo morto nell'ascensore della metro: condannato a 2 anni il tecnico Atac che cercò di salvarlo
di Francesca De Martino
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Sabato 10 Luglio 2021, 10:15 - Ultimo aggiornamento: 10:21

Era il 9 luglio di sei anni fa quando l'ex dipendente Atac Flavio Mezzanotte aveva cercato di salvare la mamma e il bambino di 4 anni intrappolati nell'ascensore della metro di Furio Camillo, ma il piccolo era morto, precipitando da venti metri d'altezza. Proprio ieri, nell'anniversario della tragedia, per l'imputato è arrivata la sentenza di condanna a 2 anni di reclusione, con pena sospesa. Mezzanotte, Atac e Assicurazioni di Roma dovranno rendere una provvisionale di 200mila euro alla madre del bambino, di altrettanti 200mila al padre e di 40mila al nonno. L'accusa, rappresentata dal pm Louella Santini, l'1 luglio scorso aveva chiesto una condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione per l'imputato, perché «non c'era dubbio che quella manovra non spettava a Mezzanotte, non formato per quel tipo di interventi che spettano a tecnici qualificati».

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L'ATTESA
L'imputato ieri era presente in aula, vestito con giacca e cravatta, guardava fisso a terra nell'attesa della sentenza, in silenzio.

Il suo difensore, l'avvocato Valentina Chianello, chiede più chiarezza sui fatti: «La condanna è stata contenuta, ma noi insisteremo per ottenere veramente giustizia. Il giudice non si è discostato dagli orientamenti del pm che aveva condotto le indagini solo parzialmente - ha sottolineato Chianello - Infatti, neppure sono state valutate altre specifiche responsabilità utili a giustificare la condotta del Mezzanotte. Attendiamo le motivazioni, ma sicuramente i giudici d'appello dovranno valutare ciò che è stato trascurato nel primo grado di giudizio, nonostante le richieste della difesa». Per la difesa, infatti, l'imputato aveva eseguito le mansioni che era abituato a svolgere e aveva agito per stato di necessità. E aveva puntato il dito sulla municipalizzata, che non avrebbe formato a dovere i lavoratori.

I fatti risalgono al 9 luglio del 2015. Il piccolo Marco cammina accanto alla madre Francesca dopo una giornata di shopping trascorsa sotto il sole caldo della Capitale. Alla metro Furio Camillo, la donna decide di prendere l'ascensore che dalla biglietteria conduce ai binari. Ma all'improvviso l'impianto si ferma: la mamma e il bimbo rimangono intrappolati. Passano quasi venti interminabili minuti, il bambino si agita. «Stiamo svenendo, qui non respiriamo. Potrebbe sollecitare?», dice Francesca parlando al microfono interno collegato con il gabbiotto della sicurezza. A rispondere è l'imputato. Mezzanotte chiama i soccorsi, ma il tempo continua a passare. Decide quindi d'intervenire, anche se non sarebbe di sua competenza. Effettua da solo la manovra di salvataggio. Fa scendere un montacarichi fino al livello dell'ascensore bloccato. Poi, apre entrambe le porte. Il tecnico dimentica di inserire una passerella nello spazio tra i due elevatori. Marco scappa via dalle braccia della mamma e corre verso l'operatore. Non salta, cade nel varco, precipita per venti metri. Immediato l'intervento dei vigili del fuoco e dei paramedici del 118. Ma per il piccolo non c'è nulla da fare.
 

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