Roma, iniettava psicofarmaci alla figlia disabile: condannata a 4 anni

Roma, iniettava psicofarmaci alla figlia disabile: condannata a 4 anni
di Adelaide Pierucci
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Martedì 10 Novembre 2020, 00:00

Sapeva che tra i farmaci somministrati alla figlioletta c’era un antiepilettico e anche che in ospedale la piccola veniva monitorata a vista da un sistema di videosorveglianza. Allora per tentare di ucciderla avrebbe usato due accortezze: iniezioni identiche a quelle somministrate, ma cinque volte più potenti, e l’ulteriore stratagemma di nascondere la mano sotto le lenzuola. La reazione convulsa della bambina, colpita all’improvviso da spasmi e l’atteggiamento ambiguo della madre, avevano fatto comunque scattare l’allarme. Era stata salvata così, grazie al trasferimento immediato in terapia intensiva, nel maggio dello scorso anno al policlicnico Umberto I una bambina di 8 anni ricoverata per una malattia genetica e alla quale la madre aveva somministrato, in corsia e di nascosto, una overdose di Lamictal, un potente psicofarmaco antiepilettico. Ieri, a piazzale Clodio, la sentenza.

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La donna, finita in carcere e poi ai domiciliari con l’accusa di tentato omicidio, è stata condannata in abbreviato a 4 anni di carcere, ma per lesioni gravi.

Il giudice ha ritenuto che la mamma non volesse uccidere la bambina come ricostruito dalla procura che puntava a 10 anni di carcere, ma solo provocarle un malore, seppur grave. Nell’atto di richiesta del processo il pm Andrea Gualtieri aveva escluso giustificazioni per la donna, a partire da quello mentale e sottolineato la potenzialità letale del farmaco. Le azioni compiute dall’imputata erano state ritenute «idonee a cagionare la morte della bambina, evento non verificatosi solo grazie al tempestivo intervento dei sanitari». L’allarme in una corsia del padiglione Pediatrico dell’Umberto I era scattato poco dopo la mezzanotte dell’8 maggio dello scorso anno. La donna, una trentenne sposata con un ufficiale delle forze armate, era stata arrestata 2 mesi dopo. L’imputata ha sempre respinto le accuse. «Ho sempre curato la mia bambina con la massima dedizione. Avevo le mani sotto le lenzuola per accarezzarla». Sotto le lenzuola i medici avevano recuperato una sola siringa, mai repertata, con la quale la donna, come dedotto dagli accertamenti biologici, avrebbe sottoposto la piccola a più iniezioni. Il perito nominato dalla procura ha poi attestato che la maxi dose di psicofarmaci avrebbe provocato nella bambina prima uno stato febbrile, gravi sintomi neurologici e cardiologici, ma anche perdite di coscienza, alternati a stati soporiferi o di agitazione. 


LA DIFESA
I difensori della mamma condannata, gli avvocati Savino Guglielmi e Francesca Rossi, pensano all’appello: «Riteniamo che le accuse, anche se ridimensionate, siano comunque infondate». «L’imputata non ha commesso il fatto - ha precisato l’avvocato Guglielmi - Dal fascicolo emerge piuttosto un errore infermieristico. Lo proveremo». La procura non ha mai escluso che la donna possa soffrire della sindrome di Münchausen per procura, disturbo psicologico che porterebbe le persone colpite a provocare una malattia o un trauma psicologico, in particolare sui figli, allo scopo di attirare attenzione. La piccola resta affidata ai nonni con possibilità di visita solo del padre. 

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