Roma, oro, pitture e marmi, così risplende il "cielo" di Venere. Fendi restaura il tempio al Foro Romano

nella foto il cantiere al Tempio di Venere e Roma
di Laura Larcan
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Domenica 21 Marzo 2021, 12:14 - Ultimo aggiornamento: 15:05

Il pubblico è abituato a riconoscere la “cella di Venere” tutti i venerdì Santi perché è la quinta della Via Crucis del Papa. Ma vederla da vicino, nel cuore dell’abside, su un ponteggio alto quasi sessanta metri, è tutta un’altra cosa. Uno spettacolo da vertigine. Se ne percepisce tutta la grandiosità. E sfiorando quella coreografia di stucchi a rilievo che si rincorrono come una melodia con motivi floreali sulle cornici dei giganteschi lacunari, ecco spuntare le sorprese: le splendenti foglie d’oro che 1900 anni fa rivestivano le decorazioni delle volte, accanto a diffuse trame di pitture rosse. Un’autentica opera d’arte. Sono solo alcuni dei risultati riaffiorati dal grande cantiere di restauro del Tempio di Venere e Roma, condotto dall’équipe del parco archeologico del Colosseo, fortemente voluto dalla direttrice Alfonsina Russo, che vanta la sinergia con Fendi, quanto mai sensibile alla tutela del patrimonio romano.

 

DALLA SFILATA ALLA TUTELA

«Con la sfilata dell’estate 2019 sul podio del tempio, è nato un sodalizio con la maison per valorizzare un luogo iconico della Capitale», racconta la restauratrice Ines Arletti. Un mecenatismo di 2,5 milioni di euro. «Siamo in uno dei templi più grandi mai esistiti dell’antichità - spiega l’archeologa Martina Almonte - Sorge nel luogo in cui Nerone aveva previsto l’ingresso alla Domus Aurea, e qui si trovava il suo Colosso quando Adriano nel 121 d.C.

decise di erigere questo tempio. La sua particolarità è quella di presentare due celle contrapposte: Venere rivolta al Colosseo, e quella dedicata alla dea Roma verso il Foro romano». Distrutto da un incendio, venne ristrutturato da Massenzio.

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I lavori, ora, fervono. Le calotte absidali di Venere e Roma sono state indagate e trattate in ogni minimo dettaglio con fior di sorprese riemerse nelle losanghe stuccate a rilievo. Un tesoro nel tesoro. «C’era un degrado molto diffuso sulle superfici - evidenzia l’architetto Cristina Collettini - la cella di Venere è quella più esposta alle intemperie e una manutenzione a queste altezze è difficile. Ora si può rivedere la struttura originaria». Diventa nitida la tecnica costruttiva, per esempio: sono state trovate le chiodature antiche che servivano per ancorare le decorazioni a rilievo nei lacunari. E la meraviglia delle foglie d’oro accanto ai colori sugli intonaci.

LE SCOPERTE

«Le due celle dal basso possono sembrare apparentemente identiche - riflette Cristiana Beltrami dello staff - in realtà hanno molte differenze: i romani avevano predisposto due squadre diverse ad operare». Da vicino, la volta della cella di Roma ha tonalità più chiare, mentre Venere sfoggia nuance più calde. Le volte sono un trionfo di stucchi lavorati a rilievo che impreziosiscono i lacunari a losanghe puntellati di rosette originariamente dorati e dipinti a colori. L’ocra per Roma, il Rosso per Venere.

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Le indagini stanno chiarendo anche come era realizzata la doratura. Era funzionale agli effetti di luce all’interno del tempio, diverso nelle due celle. Il complesso monumentale è unico. Basta affacciarsi dalle impalcature della cella di Roma per rendersene conto: «Il convento di Santa Maria Nova e la basilica di Santa Francesca Romana dialogano con il monumento perché si innestano sul podio del tempio - racconta Cristina Collettini - la nostra intenzione in questo grande lavoro di restauro è quello di restituire al pubblico l’integrazione tra il tempio e il monastero proprio grazie ad un percorso di visita che segue la pavimentazione romana». La conclusione dei lavori è prevista per l’autunno.

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