Roma, impicca il suo cane al parco: «Era ingestibile». Voleva anche tagliarlo a pezzi

Roma, impicca il suo cane al parco: «Era ingestibile». Voleva anche tagliarlo a pezzi
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Lunedì 22 Giugno 2020, 11:02 - Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 12:30

Ha impiccato il cane, perché il giorno prima aveva dato un morso alla padrona, «perché era diventato ingestibile». A fatica aveva quasi terminato il suo lavoro (dopo avrebbe segato il corpo) quando è stato scoperto.
Ad accorgersi dell'orrore senza però poter più fare in tempo per salvare il povero animale è stato un agente di polizia penitenziaria libero dal servizio. Passeggiava con il suo cane nel parco di via Lodigiani quando ha notato un uomo sollevare sforzandosi una corda, appesa a un albero.

Su una cima un cappio dal quale ciondolava ormai inerme, a sei metri di altezza, il cane del quale aveva deciso di disfarsi perché «ingestibile». La terribile scoperta, venerdì pomeriggio intorno alle 19, nella Valle dell'Aniene. L'agente quando ha visto il 66enne della provincia di Oristano ma residente a Roma, sollevare il cane appeso alla corda dal collo, ha iniziato a correre verso di lui nel disperato tentativo di salvare l'animale, gli ha urlato di fermarsi mostrando il tesserino, ma si è sentito rispondere che ormai il cane era morto.

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 «Era troppo pericoloso, bisognava liberarsene», gli ha detto prima di iniziare a correre verso l'uscita del parco con una sega in mano con la quale forse voleva disfarsi del corpo. Il poliziotto ha chiamato il 112 riuscendo a intravedere l'uomo correre in strada in direzione di un'utilitaria a bordo della quale lo aspettavano due donne, ucraine di 54 e 63 anni, poi denunciate per favoreggiamento in concorso e resistenza. L'agente è riuscito ad annotare la targa e a consegnarla ai poliziotti che erano arrivati sul posto.

Così è stato possibile rintracciare la proprietaria del mezzo, una donna residente a Tivoli, che però ha spiegato di aver lasciato l'auto all'uomo. Una volta rintracciato il 66enne, gli agenti lo hanno denunciato per uccisione di animale, resistenza e minacce a pubblico ufficiale e gli hanno chiesto i motivi del suo folle gesto: «Il cane ormai era un trovatello adottato 8 anni fa ed era diventato ingestibile - ha spiegato - Giovedì sera (il giorno prima di ucciderlo) ha morso la mano alla padrona (una delle due ucraine) che ha così deciso di liberarsene». Nel parco gli agenti della Scientifica hanno sequestrato il piccone e una corda, mentre in casa dell'uomo hanno trovato la sega. I poliziotti della volante San Basilio 1 con la ditta della Asl hanno provveduto al ritiro della salma, portata al canile della Muratella. 
L’Oipa Italia interverrà come parte attiva nel procedimento penale, depositando una denuncia penale e costituendosi come parte civile nel processo contro l’uomo che ha impiccato un cane all’interno del Parco dell’Aniene, a Casal de’ Pazzi, nella periferia nord-est di Roma. «Da quanto abbiamo appreso, ha assistito alla macabra scena un agente della polizia penitenziaria che aveva da poco finito il suo turno nel vicino carcere di Rebibbia», racconta Rita Corboli, delegata romana dell’Oipa. L’Oipa ricorda che l’uccisione di animali è reato art. 544 bis del Codice penale, che recita: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 4 mesi a 2 anni”. «Una sofferenza inaudita subita da un essere senziente che non si può accettare e che chiede giustizia. Per questo procederemo in sede giudiziaria», dichiara Massimo Comparotto, presidente dell’Oipa Italia. «Le pene previste dalla nostra legislazione per tali reati sono troppo lievi, lo ripetiamo da tempo. Occorre una tutela più incisiva per gli animali, che ancora non ricevono una copertura legislativa diretta non essendo loro riconosciuta soggettività giuridica. Auspichiamo un inasprimento per le pene riguardanti il maltrattamento e l’uccisione di animali, anzitutto per l’esigenza di una loro piena tutela, ma anche perché studi scientifici attestano la correlazione tra la crudeltà sugli animali e la più generale pericolosità sociale di chi la commette».


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