Candidato sindaco di Roma, Cassese: «No a inesperti, la Capitale esce da una guerra»

Candidato sindaco di Roma, Cassese: «No a inesperti, la Capitale esce da una guerra»
di Diodato Pirone
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Giovedì 13 Maggio 2021, 07:14 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 07:02

Il professor Sabino Cassese è il decano degli esperti di pubblica amministrazione in Italia. In vista delle elezioni comunali di Roma, che a giudizio unanime avrebbe bisogno di una profonda riorganizzazione della sua amministrazione, abbiamo chiesto a lui un giudizio su questa prima fase della campagna elettorale e di formulare consigli e indicazioni ai candidati che stanno emergendo.


Professore qual è il consiglio fra i consigli che darebbe ai candidati a sindaco di Roma?
«Studiare attentamente la macchina amministrativa, per capire quello che funziona e quello che non funziona. Battere le strade di Roma, per vedere in che condizioni sono. In altre parole, dedicarsi subito all'interno e all'esterno del Comune, alla sua struttura e ai bisogni dei cittadini romani».
E' vero che il tema principale delle comunali non è essere eletto sindaco della Capitale ma fare il sindaco di una città difficile come Roma?
«Sono pochi i sindaci di Roma che hanno davvero svolto l'attività di sindaco.

Molti hanno preferito dedicarsi al lavoro di ciambellani, accompagnando il Papa all'aeroporto, ricevendo imperatori e re, partecipando a cerimonie. Auspico che il nuovo sindaco deleghi a qualcun altro i compiti di rappresentanza, dedicandosi all'amministrazione di questa città che esce dalle ultime esperienze come da una guerra».

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Veniamo da molti anni di sindacature difficili. Perché la scelta dei primi cittadini di Roma si è rivelata così infelice?
«Perché c'è stata una congiunzione di cattiva amministrazione e pessima politica. Salvo alcune eccezioni, non si può dire che la Capitale sia stata amministrata. E questo riguarda tutte le forze politiche, destra e sinistra. Ma riguarda anche la debolezza della struttura amministrativa, che dovrebbe anche supplire alle carenze della politica».
Può delineare un ricetta sintetica per rilanciare Roma?
«Dedicarsi alle questioni prioritarie a cominciare dallo stato delle strade, dal traffico, dalla pulizia, dalla cura del verde pubblico. Se non si redige un ordine di priorità fin dall'inizio, si finisce per essere sommersi dai problemi irrisolti. Lasciare per ultimo panem et circenses».
La città ha un problema di classe dirigente?
«Mi pare chiaro che vi sia un problema di classe dirigente. Basta vedere come si sta svolgendo la ricerca dei candidati in queste settimane. Si tratta di persone che vengono «prestate» a Roma. I municipi non sono riusciti a produrre una classe dirigente, anche perché vi si annida troppa inefficienza». 
La Capitale ha una burocrazia e una intelaiatura burocratica adeguata alla missione di una delle principali città europee?
«Posso giudicare la struttura capitolina e le sue diramazioni locali, i municipi, come utente, perché abito a Roma (esempio: abito in una strada chiusa al traffico da un anno e mezzo solo perché bisogna ricostruire un muro di sostegno di lunghezza di circa cinque metri). Ma anche per qualche esperienza diretta del passato, per il progetto, in parte abortito, del Sistema direzionale orientale e per la redazione dello statuto della città. Vi sono anche persone di buona volontà e con esperienza, ma in un sistema male organizzato e che non ha capacità di motivare i propri dipendenti. Comunque, nessuno fa verifiche di risultato».
E' giusto assegnare a Roma più poteri e, se sì, quali?
«Sconsiglio vivamente di assegnare nuovi poteri a Roma. Lei metterebbe nuovi pesi sulle spalle di una persona che zoppica?».
Può indicare l'azione indispensabile per far uscire Roma dalla palude?
«Quando la dottoressa Anna Maria Cancellieri, prefetto della Repubblica, venne nominata commissario al Comune di Bologna, come lei stessa ha raccontato in un libro autobiografico, come primo atto cominciò a girare a piedi per la città cercando di capire che cosa era stato fatto e che cosa bisognava fare. La città è dei cittadini, e i cittadini usano la città circolando nelle strade e negli altri luoghi pubblici. É da lì che si comincia a misurare la febbre di una città».
Possiamo copiare esperienze feconde dall'estero?
«Non c'è bisogno di andare all'estero. Basta andare a Milano: il paragone tra la capitale e la «capitale morale» è tutto a sfavore di Roma».
Roma sembra essere ridiventata centrale per la politica nazionale sia sul versante del Pd che per Salvini e Meloni, impegnati in prima persona. E' un buon segno? Come indirizzare verso uno sbocco positivo questa attenzione per la città?
«Questa grande attenzione della politica nazionale per la politica locale nasconde un implicito disegno di omologazione dei due livelli. Questo è un fatto negativo per l'autonomia. L'autonomia politica degli enti locali si manifesta innanzitutto nel pluralismo degli orientamenti politici, per cui debbono fiorire mille fiori, realizzarsi maggioranze diverse in sede locale, tra Comuni e tra governo nazionale e Comuni. Altrimenti, l'ideale costituente di una Repubblica che riconosce, garantisce e promuove le autonomie viene tradito».

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