Roma, Emanuele ucciso per 50 euro sotto gli occhi della fidanzata

Roma, Emanuele ucciso per 50 euro sotto gli occhi della fidanzata
di Alessia Marani
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 01:04

Ucciso per un debito di poche decine di euro, al termine di una lite in strada degenerata, forse, a causa di qualche birra di troppo. È morto così intorno all’1.30 di lunedì notte, Emanuele Mattei, 43 anni, un diploma da ragioniere in tasca e un lavoro come cameriere in un ristorante a due passi dalla sua casa di via Oderisi da Gubbio. Il movente che ha armato la mano di Salvatore Cau, 48 anni, residente a Canepina (Viterbo) dove si era trasferito con la famiglia da qualche anno sarebbe in 40 o 50 euro contesi tra lui e un suo amico egiziano di 46 anni (rilasciato) ed Emanuele. Una coltellata secca all’addome ha fatto perdere molto sangue a Mattei che è crollato sul marciapiede di via Borghesano Lucchese sotto gli occhi della sua fidanzata, Cristina, e di almeno altre quattro persone, amici di quartiere con cui aveva passato la serata fino a poco prima a bere in un bar.

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«SONO MORTA CON LUI» È morto tra le mie braccia, sono morta con lui, Emanuele era tutto per me, mi aveva detto “vado e ci parlo con questi” e me l’hanno ammazzato», ripeteva ieri Cristina, tornata a porre fiori sul luogo. Insieme con Cau - nel suo passato solo una denuncia per guida in stato d’ebbrezza - nella caserma dei Carabinieri di Trastevere è finito l’egiziano che, dopo l’omicidio, sarebbe tornato sul posto e, quindi, subito riconosciuto e indicato agli investigatori da uno dei testimoni. «É quello lì con la maglietta verde che sta telefonando», ha indicato “Robertone”. E forse l’egiziano stava proprio informando Cau dell’epilogo. Poco dopo il viterbese, che a Roma ha mantenuto lavori di cameriere e portiere di notte, è stato notato in via Pacinotti da due agenti di San Paolo fuori servizio insospettiti dai segni di ammaccatura e sangue sulla carrozzeria. Anche Cau era ferito, una botta alla testa, ed è stato medicato in ospedale prima di essere portato dai carabinieri in caserma. Emanuele e Cristina, dunque, erano nei pressi del “muretto”, un luogo di raduno la sera per diversi giovani e non solo.
«Ogni tanto si sente qualche zuffa - racconta uno dei testimoni che abita nel palazzo di fronte - quindi all’inizio non avevo fatto troppo caso al rumore, poi ho sentito gridare “basta”, “a stro’...”, e tonfi, come di persone sbattute sulle auto. Mi sono affacciato e ho visto due sagome, una che teneva una persona, e mi sembrava che l’altra la picchiasse. Poi sono scappate da un’auto bianca che era in doppia fila e ha girato a sinistra verso la Magliana. La ragazza urlava disperata “me l’hanno ammazzato”». In tanti scendono dai palazzi. Tutti conoscono Emanuele, “il polacco” come era chiamato per via dei capelli e la carnagione chiara, o “il mattacchione”, «perché era sempre allegro e aveva scherzi per tutti», come ricorda Alfonso il suo datore di lavoro. «Emanuele - dice - non era in brutti giri, era un buono mi sembra assurdo che qualcuno possa averlo ammazzato così». In tanti lo ricordano come una sorta di «mascotte» del circondario dove era nato e cresciuto, il suo terrazzo affaccia sul punto in cui è morto. «Era un bambinone che non ha mai fatto male a nessuno», dice Pasquale, un portiere. Si continua a indagare sul perché Emanuele avesse dato o prestato soldi ai due, la vittima era comunque incensurata. A Cristina appena arrivati i due in auto aveva detto «ora ci vado a parlare, tu stai qui» poi l’omicidio.

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