Roma, rivolta a Rebibbia: 55 detenuti a processo

Rivolta a Rebibbia, 55 detenuti a processo
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Martedì 16 Febbraio 2021, 16:09 - Ultimo aggiornamento: 17:36

La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per una cinquantina di detenuti del carcere di Rebibbia per i disordini avvenuti all'interno del penitenziario il 9 marzo del 2020 a seguito delle misure disposte per contenere la diffusione del Covid. I pm Eugenio Albamonte e Francesco Cascini contestano, a vario titolo, reati di danneggiamento, sequestro di persona, rapina e devastazione. La rivolta avvenne tra  il 7 e in 9 marzo, gli indagati furono 55, 9 gli arrestati.

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Durante i disordini un intero reparto venne messo a ferro e fuoco, le chiavi delle celle furono sottratte a un agente della penitenziaria, la biblioteca incendiata, l’infermeria distrutta e centinaia di medicinali rubati.

Furono sequestrati e aggrediti anchedei poliziotti. Gli scontri furono ripresi dalle telecamere, immagini fondamentali per identificare i responsabili della rivolta. 

 

In base a quanto accertato dalla polizia Penitenziaria la sommossa è scoppiata prima nel reparto G11 per poi estendersi ad altri settori del complesso penitenziario. Il 24 novembre scorso, erano state emesse nove misure cautelare in carcere nei confronti di alcuni detenuti coinvolti nelle rivolte. Durante gli scontri un ispettore rimase ferito con una prognosi di 40 giorni.

Dalle indagini, svolte dalla polizia penitenziaria e coordinate dalla Procura di Roma, è emerso il ruolo di quattro detenuti come promotori: dopo aver aggredito personale della polizia penitenziaria erano riusciti ad impadronirsi delle chiavi dei cancelli «filtro» così da permettere ai detenuti degli altri reparti di uscire e unirsi alla protesta.

Rivolte ci furono in carceri anche di altre città. Oggi il capo della polizia Franco Gabrielli ha inviato una circolare a prefetti e questori con cui si definiscono le linee guida per la pianificazione degli interventi con l'obiettivo di una gestione più efficace di questi episodi. I prefetti sono invitati a convocare appositi Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica con la presenza del direttore del carcere e del comandante del Reparto di polizia penitenziaria di ciascuno degli istituti penitenziari presenti sul territorio. La Direzione investigativa antimafia fornirà notizie utili alla stesura del piano.

Il Comitato dovrà pianificare le misure da attuare esternamente al carcere. Dovrà esser previsto il numero di forze di polizia da impiegare in base allo scenario di rischio. L'intervento all'interno dell'istituto, sottolinea la circolare, «è di natura assolutamente eccezionale e pertanto connesso con il verificarsi di eventi non ordinari». In questi casi il direttore del carcere, sentito il comando del reparto di polizia penitenziaria, farà richiesta al competente Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria. Le linee guida invitano a seguire criteri di progressività. Nelle fasi iniziali le azioni potrebbero concretizzarsi in un «mero, ma visibile, dispiegamento della forza pubblica, posizionata in assetto di pronto intervento nei pressi dell'intercinta, a scopo dissuasivo e preventivo». L'intervento all'interno dell'istituto, è l'indicazione, «può verificarsi esclusivamente in via residuale e straordinaria e solo dopo che siano stati esperiti tutti i sistemi di contenimento e le risorse a disposizione dell'amministrazione penitenziaria». In caso di eventi di «straordinaria eccezionalità» potrà essere convocata l'Unità di crisi, con l'eventuale impiego dei reparti speciali (Nocs e Gis).

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