Reddito di cittadinanza, flop dei progetti sociali a Roma: nessuno vuole pulire la città

Coinvolti un centinaio di percettori su 60mila, lo 0,19 per cento del totale

Reddito di cittadinanza, flop dei progetti sociali a Roma: nessuno vuole pulire la città
di Francesco Pacifico
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Martedì 24 Maggio 2022, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 25 Maggio, 12:29

Nella loro brutalità i numeri sono più che esemplificativi: su 60mila capofamiglia che percepiscono il reddito di cittadinanza, a Roma soltanto 117 persone partecipano ai progetti utili alla collettività organizzati dai Municipi e dal Comune. In altre parole, solo lo 0,19 per cento della platea dei destinatari del sussidio fa quello che un tempo si chiamavano “lavori socialmente utili”. E in questa veste viene utilizzato dal Campidoglio come giardiniere, bibliotecario, per raccogliere le cartacce, per le piccole manutenzioni o per aiutare i bambini davanti alle scuole e gli anziani ad attraversare la strada agli incroci pericolosi. A fotografare questo fallimento è stata la Cgil: dall’istituzione della misura sono stati «“caricati” sulla piattaforma Gepi del ministero del Lavoro soltanto 71 progetti e di questi 19 sono attivi, 2 sono disponibili, 20 non sono mai partiti, 30 sono terminati». Soprattutto, guardando ai percettori del reddito, soltanto «in 336 hanno preso parte a un Puc: 117 sono in attività e 219 hanno terminato il progetto». Un flop.

MODIFICHE

Spiega Natale Di Cola, segretario della Cgil del Lazio: «La precedente giunta comunale non ha messo fondi sufficienti e non ha mai aperto un confronto con noi per utilizzare al meglio questa misura.

Consideriamo il reddito una forma di sostegno, ma non uno strumento per inserire nel mondo del lavoro i più bisognosi. Servono delle modifiche a livello nazionale e in quest’ottica sarebbe meglio se il Comune si trasformasse in datore di ultima istanza: utilizzando l’incentivo di natura economica, potrebbe, da un lato, collocarli in veri progetti di utilità collettiva, ma non come adesso di 8 ore, dall’altro stimolare, privati e no profit su altri progetti». I percettori al reddito firmano - se non sono in età pensionabile, non hanno fragilità invalidanti e non devono occuparsi di minori o disabili - il patto per il lavoro e quello per l’inclusione sociale, che tra le sue clausole prevede di garantire almeno 8 ore al mese per svolgere lavori socialmente utili su mandato dei Comuni. A Roma in 18mila hanno firmato il patto, ma nessuno, di fatto, è stato chiamato.

Alla base di questo fallimento ci sono questioni di natura nazionale (per esempio soltanto nel 2020 il ministero del Lavoro ha reso noto il regolamento del Puc, e sicuramente non ha aiutato il Covid. Ma si scontano anche alcune decisioni dell’ex giunta Raggi, che sulla misura ha investito soltanto 3 milioni di euro, utili appena per coprire le spese per 2mila persone, visto che l’amministrazione deve pagare l’assicurazione o comprare i guanti e le attrezzature per questi lavoratori. Senza contare le difficoltà tra il Campidoglio e i Centri per l’impiego per lo scambio dei nominativi. Aggiunge al riguardo Daniele Torquati, presidente del XV Municipio: «I Puc sono stati un fallimento anche perché ogni Municipio ha solo un dipendente per gestire questi piani. Noi vogliamo utilizzare lo strumento e con gli assessori Marcello Ribera e Agnese Rollo stiamo sottoscrivendo un protocollo tra i servizi sociali e l’Ama per utilizzare 50 percettori del reddito come agenti accertatori». Proverà a rilanciare la misura anche Lorenza Bonaccorsi al I Municipio, che oggi vedrà i suoi dirigenti impegnati sul welfare, mentre pessimista è dal V il collega Mauro Caliste: «Non riusciremo mai a farli partire, perché non c’è personale».
 

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