Premio Messaggero per i giovani, la preside Lancellotti: «Bulli e autolesionisti sono figli del disagio»

Premio Messaggero per i giovani, la preside Lancellotti: «Bulli e autolesionisti sono figli del disagio»
di Camilla Mozzetti
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Sabato 13 Febbraio 2021, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 01:18

Le regole per partecipare all'iniziativa "Che cosa è importante per me" del Messaggero: il testo dovrà essere inviato entro il 20 del mese in formato digitale (file Word o Pdf) all’indirizzo email concorso-letterario@ ilmessaggero.it. Allegare anche il modulo di partecipazione scaricabile sul sito www.ilmessaggero.it/concorso-letterario. La proclamazione dei tre vincitori (che riceveranno un tablet con l’edizione digitale del Messaggero) sarà comunicata sull’edizione cartacea e online. Anche i premi saranno inviati entro la fine di ogni mese. Gli elaborati saranno pubblicati in tutto o in parte sul giornale e sul sito.

L'intervista

Crede che i ragazzi abbiano «un potenziale enorme da tirar fuori» ma che al contempo siano anche «fragili» ed esposti - oggi più di prima - ad una «fluidità e liquidità» capace di azzerare «valori e punti di riferimento». Alcuni dei suoi studenti covano un disagio che può manifestarsi poi in due modi: «quello che li vede prevaricare gli altri» oppure «forme di autolesionismo che nascondono un disperato bisogno di aiuto». Anche per questo Maria Grazia Lancellotti, preside del liceo classico e linguistico Orazio ha incrementato le attività dello sportello psicologico della scuola dopo la chiusura degli scrutini del primo quadrimestre.


Preside Lancellotti, che cosa predomina e cosa manca tra i giovani di oggi?
«Le situazioni sono tante e anche molto diverse tra loro, all’Orazio ci sono 1.253 studenti e il retroterra socio culturale non è unico. In questo momento, scandito dalla pandemia da Covid-19, vedo questi ragazzi smarriti, senza più punti di riferimento. Vivono la liquidità di quest’epoca, resa più dura dalla malattia, non ci sono certezze e il senso di precarietà genera paure e non solo».


Può trasformarsi in violenza verso l’altro e se stesso.
«Esattamente. Al di là delle costanti prove di forza che ahimè rappresentano ancora dei riti negativi di passaggio, quest’anno scandito dal virus ha delineato il trionfo della precarietà, come se ogni volta si dovesse ricominciare tutto da capo. Qualsiasi sia il percorso che si intraprende: un nuovo modo di studiare, confrontarsi con gli altri dallo schermo di un pc, rimodulare le giornate, privarsi dello sport, senza sapere cosa accadrà il giorno dopo. Questo genera un’insofferenza che a sua volta può sfociare in violenza verso gli altri e verso se stessi».


A scuola come combattere questa minaccia?
«Abbiamo uno sportello psicologico con personale esperto attivo a 360 gradi.

Sia per incontri individuali che per quelli collettivi. Ci siamo trovati di fronte a episodi di cyberbullismo e bullismo e abbiamo attivato immediatamente dei corsi diretti nelle classi. Dopo gli ultimi scrutini ho individuato insieme all’aiuto dei professori dei disturbi ricorrenti tra alcuni studenti, come ad esempio quelli alimentari, e per questo avvieremo dei cicli nelle classi per discutere ancora di più è ancora meglio tanti temi. La nostra è una scuola dove i ragazzi percepiscono il senso del pericolo, provano a difendersi dalla violenza in ogni sua forma ma vanno aiutati a ripristinare un equilibrio in un periodo in cui sì, siamo tornati a scuola, ma in una scuola piena di divieti per garantire le distanze anticontagio».


Quanto pesa questo ritorno “innaturale”?
«Di certo è deficitario. Parliamoci chiaro: davanti un pc un ragazzo può studiare o seguire una lezione ma tutto quello che rappresentava il “bello” per loro della scuola, è sacrificato. A tutti loro manca una parte enorme di vita difficile da restituire».


Willy Monteiro ed Emanuele Morganti: uccisi mentre tentavano di aiutare gli altri. La loro storia cosa lascia?
«Un grande sgomento verso la cattiveria umana fine a se stessa. Nei ragazzi c’è un senso di giustizia innato: non riescono ad accettare se non ritengono che quel fatto o quell’episodio sia giusto. Ma nella storia di Willy ed Emanuele nulla ha senso, nulla è giusto. Ne abbiamo parlato diverse volte, anche di altre storie che però si intrecciando tra loro per questa brutale e insensata violenza, e ho colto sempre la necessità del dibattito. Come se fosse un’esigenza dei ragazzi potersi esprimere su temi di violenza e di negazione dell’altro. E’ un’agenda complessa la scuola perché oltre all’insegnamento delle materie bisogna educare al benessere, insegnare a stare bene con gli altri e con se stessi».


Questo concorso chiede ai giovani quali sono i valori predominanti dell’oggi. È uno strumento utile?
«Certamente, perché è un’arma in più contro l’appiattimento, l’apatia è l’indifferenza. Uno strumento che sviluppa la riflessione e aiuta tanti giovani a porsi delle domande e a cercare poi delle risposte proprie che non siano indotte dalle mode».

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