​Roma, le mani della 'ndrangheta sui locali di Ponte Milvio: tra i lavapiatti spunta il nipote di un boss

Roma, le mani delle 'ndrine sulla movida: gli affari nei locali di Ponte Milvio
di Marco De Risi e Alessia Marani
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Lunedì 25 Novembre 2019, 08:59 - Ultimo aggiornamento: 09:52

Una scalata silenziosa, costante e pericolosa. La 'ndrangheta cerca spazio anche nella movida di Ponte Milvio. Nelle strade che sfociano nella piazza dove si affacciano ristoranti, bar, birrerie, esercizi di lusso, frequentati da migliaia di persone che creano un indotto da milioni di euro annui. Gli inquirenti romani stanno affastellando indizi su indizi, controlli, visure camerali, che confermerebbero l'ascesa delle 'ndrine in questo angolo esclusivo di Roma Nord. Una girandola di affari poco chiari che sfociano nel tessuto criminale della mafia calabrese. In quello che è stato definito prima il regno di Massimo Carminati, poi degli albanesi vicini a Diabolik, al secolo Fabrizio Piscitelli, il leader degli Irriducibili della Lazio ucciso in un agguato a Cinecittà ad agosto, spuntano piuttosto tracce che portano direttamente nella Locride, centro dei traffici mondiali della cocaina. Sarebbero loro e non altri a dettare legge. Tutto parte dal misterioso pestaggio di un pregiudicato romano avvenuto quest'estate nei pressi del ponte. Gli investigatori indagando su quelle percosse si sono già messi sulla scia di malavitosi calabresi. Non basta.

I CONTROLLI
Una settimana fa, durante controlli di routine, alle otto di sera, i poliziotti fermano un ventenne a bordo di un Suv da decine di migliaia di euro, al polso ha un Rolex d'oro: non ha compiuto alcun reato ma gli agenti scoprono che il ragazzo è il rampollo di una famiglia di San Luca, una delle ndrine più potenti del pianeta. Qualcosa non quadra: il giovanotto, che risulta avere un contratto come inserviente proprio in un locale di Ponte Milvio, non dovrebbe guadagnare abbastanza per permettersi tanto lusso. Sarà un caso, ma qualche tempo fa, in tutt'altra parte di Roma, la polizia ferma uno straniero alla guida di una costosa berlina. Ha solo vent'anni eppure, a un'ulteriore verifica, risulta socio di un grosso locale sempre nei pressi del ponte dei lucchetti. Che sia un prestanome? Gli inquirenti stanno accertando anche alcuni elementi forniti da recenti inchieste giudiziarie che testimoniano le infiltrazioni della mafia calabrese nella Capitale, dagli albori della scalata ai patti stretti con le bande romane, forse quegli stessi infranti a suon di piombo nel corso dell'ultimo anno.

IL PATTO PER LA COCA
A decifrare l'avanzata silenziosa delle ndrine a Roma ci pensano due collaboratori di giustizia, Giuseppe Tirintino e Antonio Femia, le cui dichiarazioni vengono usate per arrestare, a maggio, 18 persone riconducibili ai clan Sgambati e Gambacurta di Montespaccato, tra loro albanesi e un altro capo ultras della Lazio. «Quando i Bellocco hanno fatto la prima consegna di droga a Roma spiega Femia - sono andati armati di kalashnikov Erano in grado di fare la guerra ai romani... poi però si sono messi d'accordo». Il pentito di ndrangheta svela il patto: «Se la importavano loro (la droga, ndr) la vendevano tutta, diciamo, ai romani va... e se la portavano i romani perché anche loro si danno da fare con velieri e cose varie, la vendevano tutta a loro per girarla in piazza. Questo è l'accordo che avevano fatto». La pax mafiosa avrebbe avuto un garante criminale di rango. «Come pazzo mi sembra di avere sentito nominare Michele Senese mette a verbale il pentito - e potrebbe essere individuato come il soggetto romano con cui i Bellocco non volevano arrivare a fare la guerra, ma avevano trovato una forma di convivenza». Tirintino specificava nel 2016 - che A Roma la ndrangheta tratta solo armi e stupefacenti e in Calabria anche le estorsioni.

DROGA CON LO SCONTRINO
Ma gli occhi della mala calabrese puntano su attività commerciali e locali in cui riciclare enormi quantità di denaro. Dal fornitore al consumatore: la coca, anche nei locali di Ponte Milvio, potrebbe girare con le dovute accortezze e persino essere pagata pronto-cassa con lo scontrino. Come un rullo compressore, i calabresi starebbe arruolando i fidati (e spietati) corrieri albanesi, per spazzare via i romani. È questo il teorema degli inquirenti che indagano sugli ultimi fatti di sangue: gli spari contro due pregiudicati in via Flavio Stilicone, a Cinecittà, non lontano dall'uccisione di Diabolik, zona storicamente sotto il controllo di Senese e dei napoletani della Tuscolana (Domenico Pagnozzi prima e Giuseppe Molisso, poi) e i proiettili indirizzati a Leandro Bennato, a Primavalle, sarebbero il segnale. Intanto, le ndrine a Roma avanzano e si rafforzano, come quella dei Marando arroccata tra i lotti di San Basilio.
 

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