Prestavano tutti servizio alla Mobile. I quattro investigatori, finiti in carcere nel 2013, erano stati descritti dagli inquirenti come una gang dedita a furti e estorsioni, soprattutto ai danni di negozianti stranieri. Accuse che ieri si sono sbriciolate con la sentenza dei giudici della II sezione penale del tribunale di Roma. Ha retto solo la contestazione cruciale, quella di aver taglieggiato l'imprenditore cinese di via Prenestina.
GIOCHI PIROTECNICI
Una storia datata, che la giustizia non ha mollato. E' il Capodanno 2009 e gli agenti sono impegnati in controlli contro i giochi pirotecnici illegali. In un capannone di via Prenestina ne viene sequestrato mezzo quintale. Da lì la proposta degli agenti all'imprenditore cinese, almeno secondo la ricostruzione del pm Barbara Zuin: «Se paga, non le sequestriamo anche il capannone. Bastano 6.500 euro». Il cinese accetta. Qualcuno in famiglia parla, gli agenti lo vengono a sapere, e per coprire il reato commesso decidono di arrestare il cinese accusandolo di aver provato a corrompere l'intera squadra. Finito in galera e poi a processo, il cinese si è difeso, rivelando di essere stato costretto a pagare. Assolto. Ora la condanna dei poliziotti, da tempo sospesi dal servizio. Sarebbe stato proprio il sostituto commissario Belfiore, il più alto in grado in carica, a chiedere la tangente al cinese sotto il ricatto della chiusura dell'attività. Duemila euro per lui, e 1500 ciascuno per i tre colleghi. In aula una registrazione di 28 minuti, in cui, però, non si parlerebbe esplicitamente dei soldi, alla fine inchioda gli agenti infedeli.
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