La Barbuta e Monachina, il piano nomadi fa flop: solo uno su sei accetta il lavoro

Il campo della Barbuta
di Stefania Piras
3 Minuti di Lettura
Venerdì 3 Gennaio 2020, 10:29
“Tutte le strade portano a Rom”. Così si scelse di etichettare il famigerato piano di superamento dei campi rom che ha ricevuto dall’Unione Europea 3,8 milioni di euro tra il 2014 e il 2020. Sì, questo appena cominciato è l’ultimo dei sei anni finanziati e dunque, in teoria, i campi nomadi dovrebbero essere praticamente scomparsi. È così? No. Perché tutte le strade sono lastricate di buone intenzioni e le intenzioni che riguardano i rom si perdono a metà strada. Il piano per il superamento dei campi è pericolosamente al palo: l’integrazione e l’autonomia promessa ai nomadi non sono diventate realtà.

Uno su sei alla Barbuta e alla Monachina ha provato davvero a cambiare vita. Ricordate il patto che il Campidoglio propose a chi accettava di uscire dai campi? Tu esci e continui a lavorare per la comunità facendo quello che sai fare meglio come rovistare tra i cassonetti per recuperare il ferro da destinare al riciclo invece che ai roghi tossici. Bene, hanno accettato questo patto in dieci. Flop totale. Lo dicono i numeri e lo dice chi lavora a stretto contatto con i nomadi. Parliamo delle tante aree in cui insistono ancora le enormi baraccopoli: Castel Romano, Candoni, Salviati 1 e 2, Monachina, Lombroso, La Barbuta, Salone e Gordiani. Parliamo della Barbuta e della Monachina situate rispettivamente nel VII Municipio a Roma sud, alle porte di Ciampino e nel XIII Municipio (Aurelio). Qui il piano si è fossilizzato: su 402 persone solo 68 hanno deciso di provare tirocini, percorsi formativi o di avviamento al lavoro. I contratti di lavoro vero firmati sono solo due. Nel villaggio attrezzato della Barbuta dire che si va a rilento è un eufemismo. Se nel 2018, a quattro anni dall’avvio del piano rom, erano state censite 93 famiglie, ad oggi ce ne sono ancora dentro più della metà: 51. In tutto sono presenti 130 minori.

Qualche successo è stato ottenuto con il pur difficilissimo processo di avvio alla scolarizzazione dei minorenni, ma per quanto riguarda gli adulti, e quindi i genitori, gli zii, i nonni, i cugini (sono famiglie molto numerose) ci sono grosse difficoltà. Per i rom il piano di superamento dei campi rom non è un’opportunità. Almeno non è vista così dalla maggior parte delle persone. Alla Barbuta, per dire, 21 utenti si sono rifiutati di firmare un atto notorio che è un documento in cui si dichiara di rendere noto il proprio patrimonio. Non un buon segnale, soprattutto dopo i vari blitz operati dalla Polizia municipale che solo un anno e mezzo fa aveva sequestrato beni di lusso come Bmw e Mercedes. Dieci sono i patti per il ferro, come si diceva. Pochi. Sei sono i tirocini stipulati. Le case popolari assegnate, sempre alla Barbuta sono invece ventitré.


Alla Monachina quando è partito il piano rom su circa 120 abitanti un quarto era senza documenti, il 30% senza una residenza. E ora? Tutti integrati nella società? Macché. Due persone hanno scelto di avviare le pratiche per diventare apolidi, in tre stanno aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno e altri tre hanno preso la residenza. Già ma dove? Al campo rom. Alla Monachina la sfida dell’inclusione scolastica ha portato a qualche successo: su 39 minori, di cui ben 20 in obbligo scolastico, 17 stanno frequentando un percorso formativo a scuola. Ma solo dieci bimbi sono stati vaccinati per esempio. Anche sul fronte casa all’orizzonte non si scorgono molte alternative. Tre persone hanno fatto richiesta per avere una casa popolare, nove si fanno dare una mano dal Comune per trovare una casa sfruttando il bonus affitto ma solo due l’hanno davvero trovata. Insomma il piano rom ci gira attorno, è nomade. L’obiettivo era «la fuoriuscita e l’autodeterminazione delle persone» che è tutt’altro che centrato. In piedi rimangono appunto i campi, le associazioni e gli uffici creati all’uopo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA