Una società dalla quale partivano bonifici verso la politica. Ma anche favori riscossi e intercettazioni inequivocabili, che hanno permesso agli inquirenti di tratteggiare i contorni delle accuse sulle quali si regge uno dei processi più difficili per l'amministrazione pentastellata: quello sulla realizzazione dello stadio della Roma a Tor di Valle, che vede sul banco degli imputati Luca Parnasi e i suoi collaboratori - l'accusa è associazione a delinquere finalizzata alla corruzione - il presidente dell'assemblea capitolina, Marcello De Vito, l'ex consulente del Campidoglio, Luca Lanzalone, e altri politici che, secondo i pm, Parnasi avrebbe finanziato in cambio di agevolazioni. Ieri in aula, dopo le prime udienze caratterizzate da questioni preliminari, si è cominciato a parlare delle indagini e delle contestazioni mosse dalle pm Barbara Zuin e Luigia Spinelli. È stato sentito come testimone uno degli investigatori che hanno partecipato alle indagini: il maggiore del Nucleo investigativo dei Carabinieri Massimiliano Vucetich, che ha firmato gran parte delle informative agli atti del fascicolo. Ha ripercorso le tappe delle indagini culminate prima, nel giugno 2018, con l'arresto di Parnasi e Lanzalone (che era finito ai domiciliari), e poi, nel marzo 2019, con quello di De Vito.
«L'inchiesta è nata da accertamenti su Manlio Vitale, un ex esponente della Banda della Magliana, che si faceva dare denaro dall'imprenditore Sergio Scarpellini», ha spiegato il maggiore. Nello stesso periodo, era stato arrestato anche Raffaele Marra, all'epoca braccio destro della Raggi, accusato di corruzione proprio insieme a Scarpellini. «Continuammo a monitorare l'imprenditore, che era in contatto con la pubblica amministrazione - ha aggiunto Vucetich - e siamo arrivati al gruppo di Parnasi che, all'epoca, con la Eurnova, stava realizzando il progetto dello stadio a Tor di Valle. E vennero fuori contatti con esponenti di alcuni partiti». Dalle indagini è emerso che Parnasi aveva utilizzato una delle sue società, la Pentapigna Immobiliare, per finanziare la politica. A insospettire gli investigatori, e a dare un riscontro alle indagini, le intercettazioni: «Spenderò qualche soldo sulle elezioni - diceva Parnasi a un collaboratore in una delle conversazioni più emblematiche dell'inchiesta - è un investimento che devo fare».
IL CONSULENTE
In aula, il maggiore Vucetich ha inquadrato meglio i contorni delle indagini: «Parnasi riteneva di avere un forte potere decisionale in funzione delle sue relazioni con vari esponenti politici, ma soprattutto con Luca Lanzalone».