Parà ucciso in Afghanistan, il mistero dell'ultima lettera alla madre. «È stata fatta sparire»

David Tobini, il parà romano caduto in Afghanistan nel 2011
di Mirko Polisano
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Martedì 22 Giugno 2021, 09:39

Le ultime parole di David: scritte nero su bianco e mai consegnate alla madre. Non si sa che fine abbia fatto la lettera che David Tobini, il parà romano caduto nel luglio del 2011 in Afghanistan, ha scritto alla mamma prima di morire in un conflitto forse - come sta indagando la Procura di Roma - per mano di «fuoco amico». Un altro giallo in un caso che per dieci anni ha collezionato depistaggi, insabbiamenti e archiviazioni superficiali. Nelle ultime 24 ore, il nuovo colpo di scena: spunta una lettera - scritta di pugno dal militare italiano caduto a Bala Murghab nel luglio 2011 - che sarebbe stata fatta sparire. A parlarne è stato proprio un soldato che avrebbe confidato ai colleghi di aver trovato la missiva e che «fu consegnata» ma che «non fu mai fatta recapitare», ha confessato il militare. Non una semplice indiscrezione, ma una precisa circostanza che trova riscontro anche nel verbale della commissione che nel settembre del 2011 - tre mesi dopo la morte di David - si occupò di aprire l’armadietto di Tobini e annotò tutti gli effetti personali del paracadutista 28enne. Tra questi anche una «lettera personale» consegnata a chi di dovere ma che la madre non ha mai ricevuto.

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È stata fatta sparire? E chi è stato? Ma soprattutto perché? Cosa aveva scritto David che la madre e nessun altro poteva leggere? Un elemento investigativo che, ora che è di dominio pubblico, sia la procura ordinaria che quella militare - che comunque ha aperto un fascicolo sul caso Tobini - non possono trascurare.

Forse David si sentiva minacciato? Cosa è successo in quella buca tra la polvere e la sabbia di Mala Mourghab? I pm di piazzale Clodio indagano per omicidio colposo. Ma quella lettera potrebbe capovolgere e ribaltare i fatti acquisiti finora?

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Agli atti, tra medaglie e accendini si legge chiaramente dal verbale: «lettera personale». «Ma a me non è stata recapita - dice la mamma Annarita Lo Mastro - quando mi accorsi di questa “lettera privata”, che non ebbi mai, chiamai subito il comando. Ero fuori di me, ero davanti al loculo di mio figlio. Era importante per me. Ieri poteva avere anche un valore affettivo anche se comunque masticavo già male la faccenda. Nessuno sapeva nulla. Nessuno aveva visto nulla. Oggi con questa notizia che apprendo , come si può immaginare che questo caso venga chiuso? Sono autorizzata a pensare di tutto. Mi parlano di colposo? Siamo sicuri? Oggi più che mai voglio la verità, oggi più che mai voglio la testa del responsabile della morte di mio figlio. Non mi fermerò, accada quel cje accada. Chiedo alla procura militare e chiedo al Ministero della Difesa di far luce su questo caso, prima che la Difesa a causa di pochi elementi non perda credibilità davanti all’Italia intera».

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