Ostia, agguati e omicidi ma il boss Spada dice: «Io, uomo di pace»

Ostia, agguati e omicidi ma il boss Spada dice: «Io, uomo di pace»
di Adelaide Pierucci
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Sabato 30 Marzo 2019, 08:17 - Ultimo aggiornamento: 08:19

Come il boss Michele Greco al maxiprocesso di Palermo Carmine Spada, sul banco degli imputati, racconta se stesso come «uomo di pace». «Non sono un boss. A Ostia sono benvoluto da tutti». Fornaio, tre figli, la moglie addetta delle pulizie, la difficoltà di arrivare a fine mese. «Al forno mi facevo pagare una volta a settimana, sennò se aspettavo fine mese morivo di fame». In un interrogatorio fiume nell'aula bunker di Rebibbia ieri , Spada, per scrollarsi di dosso l'accusa di mafioso, anzi di capoclan, con più di trenta gregari a processo con lui, si è dipinto come una padre di famiglia qualsiasi. Lavoro (in nero) e casa, arresti a parte. Una vita come un'altra, ha provato a ricostruire. Con Ostia nel cuore, dove è cresciuto, senza nemici né ombre. Pochi conoscenti, come l'altro capoclan Carmine Fasciani, da lui definito, «uno con cui darsi il buongiorno e il buonasera e prendersi un caffè». Così quando il pm Mario Palazzi ha chiesto a Carmine Spada, per tutti Romoletto, come mai fosse stato bersaglio di due attentati, in quattro giorni, il 4 e il 6 novembre 2106, lui è trasecolato. «Non si può stare tranquilli a Ostia?», ha chiesto il pm.
 

 


GLI AGGUATI
Romoletto allora ha spiegato: «Io il 4 ero andato a fare lavare la macchina Ero al Tamoil e ho visto fermarsi una moto, un gesto mi ha insospettito. La pistola si è inceppata, ho fatto in tempo a buttarmi a terra. Ma non sapevo che fosse per me. Magari volevano sparare ad altri». Il secondo blitz a casa. «Stavo al cancello - ha ammesso - e nella penombra ho visto un uomo con la pistola. Mi sono messo paura, ma non ha sparato però. Né saprei chi fosse. Io sono benvoluto a Ostia. Non ho problemi con nessuno». Romoletto, assistito da Mario Francesco Giraldi e Angelo Staniscia, ha dovuto affrontare punti cruciali. Come i soldi spediti in carcere al boss Fasciani («per rispetto umanitario. Un pezzo di cuore ce l'ho pure io», ha precisato), la sua condanna con l'aggravante mafiosa per il taglieggiamento al tabaccaio («io non c'entro proprio, mi ci hanno fatto ritrovare per caso», la spiegazione), ma anche il rapporto con Baficchio, al secolo Giovanni Galleoni e la sua spalla, Francesco Antonini, Sorcanera, uccisi (per l'accusa su sua indicazione) nel 2011 in pieno giorno in via Forni («Io?»). Nessun legame neanche con le bische. Particolare che l'accusa ha contestato: «Perché allora voleva far sapere a un distributore di videolottery che se non tirava fuori i soldi, soldi nostri,se ce sta qualche magagna gli stacco la testa?».
 

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