La foto rubata: bendato in caserma inchiesta in procura

La foto rubata: bendato in caserma inchiesta in procura. Christian Gabriel Natale Hjorth
di Cristiana Mangani
4 Minuti di Lettura
Domenica 28 Luglio 2019, 00:45 - Ultimo aggiornamento: 10:12

Un’inchiesta interna e la volontà di fare chiarezza in tempi rapidi. Ad aprirla è stato lo stesso Comando generale dei carabinieri dopo aver saputo che, durante la giornata di indagini e di interrogatori, qualche militare mandava in giro delle foto su whatsapp che non avrebbero mai dovuto circolare. Una, in particolare: ritrae Christian Gabriel Natale Hjorth, il giovane statunitense arrestato per concorso in omicidio, furto e tentata estorsione, mentre viene sottoposto a interrogatorio.

Carabiniere ucciso, il caso Usa Il governo avvisa: niente sconti

E su Instagram Elder Lee scriveva: «La morte è garantita, la vita no»
 





Nella foto che è scattata da un’angolazione particolare, l’indagato ha intorno dei carabinieri ed è fermo in attesa che qualcuno gli faccia delle domande. Ha le mani legate dietro la schiena ed è bendato. Qualcosa che ha mandato su tutte le furie i vertici dell’Arma, che hanno subito avviato l’indagine per accertare chi aveva dato l’ordine di mettere la benda al ragazzo.

Gli accertamenti hanno prodotto i primi risultati, perché è emerso da chi è partita la decisione, anche se ancora non è noto chi sia stato a diffondere l’immagine. In viale Romania, però, vogliono vederci chiaro e hanno anche inviato un rapporto sulla vicenda al procuratore aggiunto Michele Prestipino che ha aperto un fascicolo di inchiesta.

LA MOTIVAZIONE
«Abbiamo deciso di mettere la benda - si è giustificato con i suoi superiori il militare che ha preso la decisione - perché sui monitor che c’erano nella stanza, scorrevano delle immagini e dei dati importanti per altre inchieste, e l’indagato non doveva vederle. Le manette e le mani dietro la schiena, invece, le abbiamo dovute mettere perché temevamo che potesse darsi alla fuga».

Ma non finisce qui, perché durante la giornata che è seguita all’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, qualcun altro ha pensato bene di creare confusione e ha diffuso altre foto, questa volta foto segnaletiche di quattro presunti spacciatori. Tre marocchini e un algerino che sono entrati e usciti dall’indagine, e che alla fine sono stati diffusi anche su un profilo social di Facebook, ma che poi nulla - almeno fino a questo momento - avevano a che vedere con l’omicidio. Una sorta di controinformazione che ha fatto pensare veramente che qualcuno remasse contro l’inchiesta, soprattutto per la delicatezza del momento che l’Arma stava vivendo, con l’omicidio improvviso di un giovane servitore dello Stato. Ora c’è chi dice che, in realtà, le foto sono circolate solo per far capire quello che stava succedendo. Ma hanno rischiato di danneggiare gli accertamenti e probabilmente avranno delle conseguenze pesanti su chi le ha diffuse.

È facile immaginare, infatti, che la storia non finirà qui. Da viale Romania non vogliono spazio a equivoci e polemiche e ieri hanno diffuso un comunicato: «Il Comando generale dell’Arma prende fermamente le distanze dallo scatto e dalla divulgazione di foto di persone ristrette per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Il comando provinciale di Roma sta svolgendo con la massima tempestività accertamenti diretti a individuare i responsabili».

IL DEPISTAGGIO
Mentre è stato spiegato che la diffusione delle foto dei maghrebini e di tutta l’altra roba che è circolata è stata causata da Sergio Brugiatelli, vittima del furto dello zaino da parte dei due americani, che ha depistato, suo malgrado, le indagini. I carabinieri gli hanno estorto la verità chiamandolo più volte in causa, nel tentativo di smuovere in lui i sensi di colpa, fin quando non ha ammesso di aver dichiarato fossero maghrebini, i due americani, perché lui già li conosceva. E soprattutto li temeva. Ben consapevole di avergli «tirato il pacco», vendendogli aspirina spacciata per cocaina.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA